(Antonio Lopez)
Italia

L’oasi di re Manfredi e le Saline

«Voglio raccontarvi una bella storia di successo ambientale che ha per scenario un territorio meraviglioso, la Puglia a sud del Gargano, e per protagonisti dei ragazzi capaci e coraggiosi, quelli del Centro studi naturalistici di Foggia, che hanno “fondato” un’oasi dal nome impegnativo: Laguna del Re».

Antonio Lopez, pugliese di Margherita di Savoia, centro turistico della provincia di Barletta-Andria-Trani, classe 1957, è un giornalista professionista, fotoreporter, coautore televisivo e di documentari, che fa della divulgazione scientifica e della saggistica ambientale non solo una professione ma una vera missione. Storica firma di Airone di cui è stato redattore dal 1989 al 2021, oggi mette a disposizione la sua professionalità a servizio del territorio per una diversa forma di sostenibilità ambientale e culturale.

Il nome incuriosisce: chi è re Manfredi?

«È il fondatore di Manfredonia, quel Manfredi di Svevia re di Sicilia, figlio di Federico II. Il sovrano ne ordinò la costruzione - il Datum orte, l’atto notarile di nuova città, fu redatto nel 1263 - dopo la distruzione di Siponto, (il centro dauno-romano che ai tempi di Annibale dominava quei lidi) a causa di un terribile maremoto avvenuto nel 1223, con epicentro nell’attuale Vico del Gargano, che secondo recenti fonti avrebbe avuto una magnitudo stimata del 6.0 della scala Richter. Il nome “Laguna del re” dato all’oasi è il risultato di un sondaggio svolto qualche anno fa nelle scuole della città di Manfredi».

Torniamo alla storia! Ma anche alla geografia di uno degli ambienti meglio conservati d’Italia dal punto di vista floro-faunistico.

«Siamo sulle sponde del golfo di Manfredonia, dove il Tavoliere incontra il mare Adriatico, in quelle che una volta si chiamavano Paludi Sipontine: un ambiente

naturale tra i più imponenti del Mediterraneo che fino ai primi anni del Novecento contava 80mila ettari di laghi e laghetti, canali grandi e piccoli, giuncheti e canneti, prati umidi e paludi con acque dolci e salmastre popolate da decine di migliaia di uccelli acquatici. Poi, come in altre parti d’Italia, ci fu un lungo periodo di bonifiche e la gran parte di queste zone umide furono interrate e trasformate in campi da coltivare».

Scelte da riforma agraria…

«Una tale trasformazione che negli anni Settanta solo la Salina di Margherita di Savoia, le foci dell’Ofanto e di altri piccoli fiumi della Capitanata (Carapelle, Cervaro e Candelaro) e pochi fazzoletti di natura - come alcune riserve di caccia nell’agro di Zapponeta, l’ex Daunia Risi (oggi Lago Salso) e la Riserva statale di Frattarolo in quello di Manfredonia - sopravvissero alla trasformazione agraria. Negli anni a seguire alcuni di questi territori furono offesi pesantemente dalla inciviltà umana diventando luoghi di malaffare, terreni abbandonati e incolti e zeppi di costruzioni abusive; aree di bracconaggio e di illegalità diffusa».

Erano fatti così anche i 40 ettari dell’Oasi laguna del Re, oggetto del suo itinerario?

«Sì! Poi un brillante restauro ambientale li ha fatti tornare a nuova vita con canneti, specchi d’acqua e aree agricole rispettose dell’ambiente. Sono stati prima demoliti 13 fabbricati, per un volume costruito di 1.500 metri cubi, e 1.500 metri quadrati di piazzali in calcestruzzo; poi si sono rimossi muri, recinzioni e cancelli che erano stati installati per rendere inaccessibile l’area e si sono conferiti in discarica duemila tonnellate di inerti dovuti ai materiali edili di risulta e ai rifiuti accumulati nel corso degli anni».

Lei ci racconta di un “miracoloso” progetto di ingegneria naturalistica

«Alla fina di un “miracolo” si è trattato! Si sono scavati fossi di varie profondità, per consentire la formazione di laghetti e chiari d’acqua di diverso pescaggio e forma, per favorire la biodiversità e per essere navigabili con barchini a fondo piatto; si sono alzati argini, tracciati sentieri, impiantati alberi e arbusti. Soprattutto sono stati stipulati accordi con i contadini locali per praticare un’agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Il resto lo ha fatto la natura e in pochi anni è fiorito un piccolo eden naturale».

Insomma, una palingenesi del paesaggio locale…

«Inaugurata nel 2019 all’interno del Parco nazionale del Gargano, lungo la strada provinciale 141 che collega Zapponeta a Manfredonia, l’oasi di proprietà del Consorzio per la Bonifica di Capitanata è stata finanziata con un Progetto Life del 2009 di 3.153.825 euro dell’Unione Europea (cha ha contribuito con 2.365.368 euro) in collaborazione con la Regione Puglia (che ha integrato la parte restante del finanziamento) e ha visto un fruttuoso lavoro di squadra tra i naturalisti del Centro studi foggiano e i tecnici del Consorzio di Bonifica di Capitanata, che si occupa anche della vigilanza dell’area».

Un’oasi nel senso tecnico del termine, in pratica.

«L’oasi è aperta tutto l’anno, e per facilitarne la fruizione vi è un centro visita infopoint, un capanno con passerella sulla laguna e due altane per il birdwatching. L’area protetta conta 2.500 visitatori l’anno e i fondatori del Centro studi naturalistici di Foggia hanno meritato, lo scorso anno, una “menzione speciale” del Premio nazionale del paesaggio promosso dal Ministero della Cultura. È soprattutto il valore ecologico dell’area a segnare i maggiori successi».

A proposito: l’oasi sarà un concentrato di specie animali!

«Che aumentano di mese in mese: se ne contano 110. Tra queste alcune assai rare come il fistione turco, la moretta tabaccata, il marangone minore, l’airone rosso, il pendolino e i piccoli aironi come la nitticora, il tarabuso e il tarabusino. Ci sono i falchi, grandi come il lanario, il pellegrino, il falco di palude e il falco pescatore, e piccoli come il grillano e il gheppio. Non mancano anfibi e rettili e piccoli e grandi mammiferi. Ed è tornata dopo più di un secolo la lontra, la signora dei fiumi».

Ma non è la sola meraviglia naturalistica di questo territorio

«Basta proseguire di una manciata di chilometri a sud lungo la costa adriatica per imbattersi in una delle più importanti zone umide del Mediterraneo. Parlo della Salina di Margherita di Savoia, la più grande salina marittima d’Italia, un’industria a impatto zero, una sorta di piccolo mare artificiale dove si producono 500mila tonnellate di sale l’anno grazie al vento e ai raggi del sole e all’opera dell’uomo. Vi lavorano 101 dipendenti per un fatturato di mezzo miliardo di euro. In questa “terra del sale” la storia dell’uomo è presente da almeno 5.000 anni, e non mancano tracce importanti: dai siti dauno-romani come quello appena scoperto di Salapia alle torri cinquecentesche costiere (Torre Pietra e Torre Saline) costruite dai Borboni».

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La Salina è la laguna dei fenicotteri rosa

«È uno scenario di grande forza e di grande bellezza, un orizzonte di circa 4.000 ettari dove la luce radente del primo mattino illumina paesaggi di orizzonti d'acqua, di piccole onde, di mille luccichii. E lo zufolo del vento fa da sottofondo ora a lamenti di avocette, ora a chiacchiericci di piccoli trampolieri, ora ad anatre selvatiche e aironi. Gli strilli dei fenicotteri rosa, con i loro versi nasali simili allo stridore di trombe male usate, ci ricordano che la salina è un eden naturale, dove il respiro della natura ti prende e ti fa sentire più libero»..

E pensiamo anche felice di vivere

«Di respirare il vento che sa di sale. Di immergerti nei colori, vivi ed eterni. Di calpestare le erbe basse e carnose che sposano il fango. Di salire sui piccoli argini d'argilla e di muoverti come un bambino in un paese della fantasia, senza tempo e limiti di spazio. E ti senti uno di loro, nella grande casa della natura».

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