Perché gli aromi possono aiutare nella lotta al fumo
Da qualche giorno non è più possibile vendere in Italia sigarette al mentolo. Sono vietate, con sanzioni che arrivano fino a 5 mila euro per chi continua a proporle. È scaduta la deroga della direttiva europea di riferimento in materia, la 40 del 2014, che imponeva di non usare più aromi nei prodotti da tabacco e lasciava uno spiraglio al solo mentolo fino al 19 maggio scorso. La porta, ora, è definitivamente sbarrata.
Gli aromi non sono invece vietati nella sigaretta elettronica per una ragione di fondo: questo prodotto non contiene tabacco. E il loro utilizzo in tale ambito non rappresenta un fattore secondario: vista la loro gradevolezza, queste sostanze possono rivelarsi un alleato inaspettato nella lotta al fumo tradizionale. Possono rappresentare un incentivo per i consumatori ad avvicinarsi a soluzioni alternative. Sia per chi sta cercando di smettere, sia per chi non vuole farlo, non ci riesce nonostante svariati tentativi, dunque è opportuno si accosti a proposte con rischi inferiori per la salute.
Il ragionamento parte non da una sensazione, ma dall'evidenza dei numeri: l'Istituto Superiore della Sanità ha censito 11,5 milioni di fumatori in Italia nel 2016; nel 2020, seppure di poco, sono aumentati, sono diventati 11,6 milioni, di cui oltre 7 milioni di uomini e circa 4,5 milioni di donne. C'è, evidentemente, qualcosa che non funziona nelle politiche per arginare il fenomeno, nonostante la loro progressiva aggressività, la tendenza a estendere il campo dell'azione e della sanzione.
«Affrontare il tema con obiettività non è semplice, ci sono troppi pregiudizi e posizioni inamovibili. Come quella dell'Oms, la quale sostiene che gli aromi piacciano tanto ai giovani e dovrebbero essere proibiti a prescindere. Dappertutto. Così, è difficile ragionare. Ma esistono due evidenze per riequilibrare la prospettiva: sappiamo che una sigaretta di tabacco combusto che non fa male, non esiste. Ci abbiamo provato a crearla, però abbiamo fallito. Dunque, meglio cercare strade per dirigere l'attenzione del consumatore altrove. Come, per l'appunto, gli aromi. E poi: abbiamo normative stringenti che vietano la vendita di questi prodotti ai minori affinché non possano accedervi. Naturalmente sono necessari responsabilità e impegno nel rispetto di queste norme da parte di tutti» ragiona Enrico Ziino, Head Of Corporate Affairs, South-East Europe di Imperial Brands, uno dei principali produttori al mondo nel settore. Che proprio per non rendere desiderabili ai più giovani gli aromi, li mette sul mercato con nomi neutri, descrittivi (solo «mentolo», per esempio) non con epiteti ed etichette accattivanti che potrebbero, in effetti, scatenare qualche tentazione nei ragazzi.
«Dobbiamo trovare una soluzione soddisfacente per i fumatori, una via che abbia un profilo di rischio più basso. E se non è soddisfacente del tutto, allora che quantomeno ci si avvicini. Gli aromi conferiscono un piacere all'uso dei surrogati». A cominciare da quelli che echeggiano le sensazioni del tabacco, preferiti per il primo acquisto perché ricordano le sensazioni della sigaretta. «Ma non è questione di accalappiare nessuno, piuttosto di spingerlo in una direzione sensata» osserva Ziino. Di nuovo, non lo detta soltanto il buon senso: un'indagine negli Stati Uniti del Csur, il Centro per la ricerca dell'uso di sostanze svolta su un vasto campione di consumatori di sigarette elettroniche (20 mila vaper), ha rilevato che il 76 per cento di loro ha abbandonato la sigaretta grazie all'ampia presenza di aromi disponibili. E che un'eccessiva regolamentazione in materia, potrebbe incoraggiarli a propendere per soluzioni fai-da-te, quelle cosiddette aperte, in cui è l'utente a mescolare in autonomia gli ingredienti. Il rischio, evidente, è che quegli ingredienti siano di bassa qualità, se non pericolosi per la loro salute.
Il legislatore e gli organismi che sovrintendono la salute pubblica, dovrebbero dunque guardare con favore alle soluzioni chiuse. Per esempio, le sigarette elettroniche con cartucce di ricarica pronte all'uso. Cartucce realizzate in ambienti sterili, sigillate, che non consentono manomissioni, miscele o inserimento di sostanze non controllate. Soprattutto, rispettano le quantità massime di nicotina stabilite dalle normative: il tetto è del 2 per cento, vuol dire che ogni 100 ml di liquido non ce ne possono essere più di 2 di nicotina. Se è il consumatore a miscelare, non è escluso possa superare quel tetto, per errore o di proposito. Rendendo ancora più marcata la dipendenza dalla sostanza. Se è il produttore a farlo, sarà nel suo interesse, nella tenuta della legalità del suo business, stare nei limiti.
Si prendano i pod di myblu, le ricariche della sigaretta elettronica di Imperial Brands. Quelle con la concentrazione più alta si fermano all'1,6 per cento, dunque sotto i limiti imposti dalla legge. Ne esistono anche con lo 0,8 per cento e la totale assenza di nicotina, per accompagnare chi vuole smettere in un percorso graduale verso lo stop. Assecondando, per il tempo che riterrà opportuno, il suo desiderio di mantenere una ritualità, una gestualità, pur smettendo del tutto di assumere nicotina. È un po' prendersi in giro, è evidente, ma l'essere umano ha bisogno di coccole e rassicurazioni che facciano capo alla sfera degli istinti, alla ripetitività di un'abitudine.
Da qui il discorso si allarga ancora sul piano della sicurezza: «Un sistema chiuso» fa notare Ziino «presenta vari vantaggi. Un conto è comprare un computer progettato affinché hardware e software se la intendano a meraviglia, un altro è un pc che si presta potenzialmente alla possibilità di venire assemblato senza le competenze necessarie e con pezzi non compatibili al 100 per cento. Ecco, nel caso di myblu, la batteria è tarata per generare una potenza costante, la resistenza è stata studiata per vaporizzare un certo contenuto di liquido senza ossidarsi: non è solo il pod sigillato a essere una garanzia di qualità».
Un numero crescente di autorità di salute pubblica internazionale come l'Fda, la Food and Drug Administration americana, guardano con interesse costante le soluzioni per il vaping. Altre, come la britannica Public Health England, si sono espresse in maniera ancora più netta, arrivando a sostenere che le sigarette elettroniche sono meno dannose per il 95 per cento rispetto al fumo tradizionale. «Siamo consapevoli che ci vorranno decenni di prove cliniche per dimostrare con certezza che queste alternative siano prive di rischio, ma per lo stato delle nostre conoscenze sulle sigarette elettroniche oggi è ragionevole ritenere che abbiano un profilo di rischio molto inferiore rispetto al fumo combusto» conclude Ziino. «Questa è una tecnologia che ha la sua dignità e non merita di essere frenata dai pregiudizi. Sarebbe come decidere di abbandonare le auto ibride perché non eliminano l'inquinamento, perché non hanno impatto zero. Non mi sembrerebbe una scelta molto prudente, né sensata».
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