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March 06 2017
Luca Lotti, classe 1982, laureato in scienza dell'amministrazione, è l'uomo al quale Renzi, da quando nel 2004 fu eletto presidente della provincia di Firenze, ha sempre affidato i dossier più delicati e complessi, le partite politiche più difficili da giocare, le trattative sulle quali occorreva sì determinazionema anche capacità di mediazione. Il fatto che sia stato indagato, nell'ambito dell'inchiesta Consip, rischia di essere un colpo molto duro alle ambizioni politiche dell'ex presidente del consiglio, dentro il partito e più in generale nella politica italiana.
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Si conobbero nel 2006, alla Fiera della ceramica di Montelupo, quando l'attuale ministro dello Sport aveva solo 23 anni, sette in meno di Renzi, allora presidente della provincia. Consigliere comunale della Margherita, lo stesso partito da cui proviene l'ex premier, militava nell'Azione cattolica e - a suo dire - «almeno a quei tempi»non capiva, «ma proprio nulla», di politica.
Il ricordo di quell'incontro che fu catartico - e che ci aiuta a gettare una luce su uno dei sodalizi più solidi della stagione politica attuale - lo ha consegnato alla stampa lo stesso ministro dello Sport, in una delle sue rare interviste, quando fu promosso nel 2014 dal neopremier Renzi a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, dopo essere stato capo di gabinetto del sindaco di Firenze nel 2009, aver varcato il parlamento nelle elezioni del 2013 ed essere stato promosso a coordinatore nazionale della segreteria Pd dallo stesso Renzi dopo la rottamazione della vecchia guardia.
«Mai avrei immaginato, allora, quandolo conobbi, che nella testa di Matteo ci fosse un percorso simile a quello che abbiamo visto in questi anni. A Matteo però non importava che capissi poco di politica. A lui andava bene così. Cercava qualcuno che in un certo senso fosse estraneo a questo mondo. E se ricordo bene, durante il colloquio, mi fece più domande di sport e di calcio che di politica».
Una carriera fulminante, quella di Lotti, sempre all'ombra del sindaco rottamatore, conquistandone la fiducia e diventando in pochi anni, ancor più degli altri suoi uomini del cosiddetto giglio magico, il più fidato consigliere, il custode delle partite politiche più scottanti nel partito e nel governo, il suo più silenzioso e affidabile braccio operativo. Il tutto, sempre, sistematicamente, lontano dai riflettori, dai media, dalle polemiche, dai botta e risposta via social cui, invece, anche per esigenze politiche, ci ha abituato l'ex premier.
«Io, i giornali, non li leggo» è una delle sue massime più frequenti, quasi a tratteggiare un carattere opposto, schivo e felpato, rispetto a quello scoppiettante dell'ex premier: un'immagine di «civil servant» al servizio dello Stato e del governo, lontano da passerelle e riflettori come si conviene agli uomini delle istituzioni.
Forse però, a spiegare le ragioni di un sodalizio che l'inchiesta Consip sembra aver paradossalmente rinsaldato, come dimostra il retweet di Renzi dopo l'autodifesa di Lotti sulla sua pagina facebook, c'è anche una questione di affinità, di opposti che si attraggono, del fatto che l'uno ha bisogno dell'altro e viceversa, politicamente parlando.
Laddove Lotti è pragmatico, taciturno, poco propenso alla sparata, l'amico Renzi è esplosivo, egocentrico e spasmodicamente attento alla comunicazione.
Io, i giornali, non li leggo
C'è anche, naturalmente, un'altra storia da raccontare, una di quelle storie di provincia su cui si sono fiondati, nel tempo, magistrati e oppositori politici, senza peraltro cavare un ragno dal buco. Una di quelle storie di famiglie, di legami, di rapporti finanziari e di fiducia ambientata in Toscana. Figlio di un funzionario della Banca di credito cooperativo di Pontassieve, Luca Lotti è cresciuto a Samminiatello, frazione di Montelupo, quattordicimila abitanti nella città metropolitana di Firenze, celebre per vetri e ceramiche.
Nel giugno 2009, negli stessi giorni in cui il figlio Luca diventava il capo della segreteria politica del neosindaco di Firenze Matteo Renzi, la Bcc di Pontassieve dove lavora il padre di Luca Lotti concede alla Chil di Tiziano Renzi un mutuo da 697mila euro. E chi è il funzionario che autorizza la pratica? Proprio Marco Lotti, il padre del ministro che nel firmare scrive un suggerimento: «Potremmo diventare la banca di riferimento del richiedente». Nulla di illegale, come avrebbero stabilito i magistrati, solo uno squarcio su un mondo dove i destini sono personali, intrecciati e anche familiari, all'ombra della Toscana rosso-bianca.
Assunto il 1° luglio 2009 come responsabile della segreteria del sindaco, dove poco dopo entra pure la moglie Cristina Mordini (impiegata nello stesso ufficio), Lotti junior ha seduto nel cda della fondazione Open, la cassaforte politica e personale del partito/corrente di Renzi, finendo per curare - quando a Palazzo Chigi c'era Renzi - i dossier più delicati come le forze dell'ordine, i servizi segreti, l'editoria, senza mai attirare una polemica che fosse una, ma facendo sempre parlare di sé e del suo ruolo-chiave all'ombra dell'ex premier.
Luca Lotti, detto lampadina, il soprannome inventato dagli amici del paese, si ritrova ora sotto indagine, per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio, nell'ambito dell'inchiesta Consip. Contro di lui è pronta una mozione di sfiducia del M5S che l'ex minoranza del Pd potrebbe anche votare, qualora Lotti non fornisse in parlamento le rassicurazioni necessarie. È vero però che la sua posizione appare, a leggere le indiscrezioni e le carte fatte filtrare dalla procura, molto meno compromessa di quello che vorrebbero le opposizioni. Oggi, politicamente, lo difendono un po' tutti, da Forza Italia al Pd, fino a Ncd, anche perché l'inchiesta è stata voluta da un magistrato - Henry John Woodcock - che da vallettopoli al savoia-gate ha spesso preso sonore cantonate. Lotti, per ora, ha scelto di difendersi con un lungo post su facebook. Una cosa appare però certa: se cade Lotti, rischia di cadere anche Renzi.