Dal Mondo
September 13 2020
La crisi bielorussa vista da uno storico e da un politologo, fra i massimi esperti di Russia e dintorni. Aldo Ferrari e Sandro Teti hanno posizioni antitetiche: uno è filo-zarista, l'altro è filo-bolscevico. Eppure convergono quasi su tutto. A partire dai danni prodotti nell'ex Urss dalle politiche ultra-liberiste del Fondo monetario internazionale.
«Lukashenko non è un mostro, ma ha fatto il suo tempo». A pronunciare concordi il verdetto sull'uomo forte della Bielorussia sono due analisti che in apparenza non potrebbero essere più lontani. Uno è il professor Aldo Ferrari. Ordinario di Storia della cultura russa e Storia dell'Eurasia a Ca' Foscari a Venezia e direttore del Programma di Ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale, è un cattolico conservatore da sempre anticomunista che si definisce «filo-zarista». L'altro è l'editore Sandro Teti, specializzato in pubblicazioni sullo spazio post-sovietico. Nato in una famiglia di comunisti ortodossi, ha lavorato giovanissimo all'agenzia di stampa Novosti di Mosca per quattro anni ai tempi dell'Urss e si definisce ancora «filo-bolscevico». Due poli opposti, che però condividono un minimo comun denonimatore: la conoscenza. Ferrari e Teti studiano da decenni la Russia e lo spazio ex sovietico, in cui hanno risieduto a lungo e di cui conoscono varie lingue. Ed entrambi, dalla scorsa primavera, si sono messi a seguire tutti i giorni gli sviluppi della crisi bielorussa. Le loro fonti, bielorusse, russe, ucraine e polacche, coprono tutto lo spettro delle posizioni geopolitiche sul Paese scosso da forti proteste contro il risultato delle controverse elezioni presidenziali dello scorso 9 agosto. Per capire che cosa sta succedendo in Bielorussia, retta con il pugno di ferro dal presidente Alexandr Lukashenko da 26 anni, Panorama ha organizzato un dibattito su Zoom con i due analisti.
Il rapimento della dissidente Maria Kolesnikova cambia qualcosa in Bielorussia?
Sandro Teti: «Secondo me assolutamente no. È un fatto marginale. Lei è una di queste leader dell'opposizione, nessuna delle quali è particolarmente preparata per affrontare trattative ad alto livello. Comunque non cambia niente. In passato ci sono state tante altre violazioni dei diritti umani, persone incarcerate…»
Aldo Ferrari: «Sicuramente no. L'opposizione bielorussa, a differenza di quella di altri Paesi, come l'Armenia due anni fa, non ha una struttura organizzativa, anche perché onestamente Lukashenko non glielo ha permesso: ha sempre arrestato gli oppositori. Quindi ha ostacolato fortemente la costituzione di un'opposizione. E probabilmente questo è stato un errore: nel senso che, se avesse dato spazio ad almeno alcune opposizioni, ora non ci sarebbe questa difficoltà a superare la contrapposizione e lo stallo. Nessuna delle figure, prevalentemente femminili, ha esperienza e radicamento politico. A prescindere da questa debolezza organizzativa dell'opposizione, rimane il fatto che ora realmente c'è una forte opposizione in Bielorussia. A differenza di quello che probabilmente c'era fino a un mese fa. Adesso l'opposizione è reale e combattiva. Non è organizzata, non è detto che vinca, ma esiste davvero».
Le recenti aperture al multipartitismo sono di facciata o sono reali?
Aldo Ferrari: «Io credo che Lukashenko sia in grave difficoltà. Io francamente non credo che quest'uomo vada demonizzato. Per più di due decenni ha guidato la Bielorussia in maniera autoritaria, al di fuori di tutti gli standard politici europei, ma il Paese è rimasto stabile. Non ha subito la crisi politica devastante degli anni Novanta che ha sconvolto tanti altri Paesi post-sovietici. In Bielorussia si viveva forse meglio che nella media degli altri Paesi dell'ex Urss e questo va ricordato. Forse non ne va riconosciuto il merito, ma va ricordato. Al di là della limitazione politica e dell'opposizione, che è altrettanto vera. Quindi l'uomo qualche cosa positiva l'ha fatta. Evidentemente non è stato troppo capace di prevedere e gestire il cambiamento generazionale degli ultimi anni. E ora ne sta pagando le conseguenze».
È in forte difficoltà.
Aldo Ferrari: «Certo, è costretto ad appoggiarsi alla Russia, con la quale, checché ne dicano fonti superficiali, non aveva rapporti di dipendenza troppo stretti. È sempre riuscito ad avere sostegno e sussidio dalla Russia senza pagare troppi pegni e spesso distinguendosi in maniera anche importante rispetto alle decisioni del Cremlino. Oggi deve appoggiarsi a Mosca. Non ha molte altre alternative. Sa di essere diventato impopolare, sa che l'uso della forza lo renderebbe odiato. Cerca probabilmente di non dipendere totalmente da Mosca e quindi fa timide aperture verso il multipartitismo, che però troveranno ben poco sostegno fra chi è ormai sceso in piazza. Mentre d'altra parte non gli garantiranno certo un maggior appoggio da Mosca, che diffida profondamente di lui. Quindi Lukashenko è in una situazione davvero difficile. Magari riesce a rimanere al potere perché l'opposizione è disorganizzata e comunque la Russia non vuole un cambiamento filo-occidentale e anti-russo. Però ha perso in larghissima misura il credito con la popolazione e credo per sempre».
Quindi ha fatto le aperture troppo tardi?
Aldo Ferrari: «Decisamente sì. Come molti presidenti autoritari dell'area post sovietica, ma non solo, non ha percepito il cambiamento. Ha pensato, per forza d'inerzia, di poter rimanere al vertice senza cambiare nulla e non si è accorto che la società era cambiata. Probabilmente se fosse stato un po' più avvertito di questo cambiamento, se avesse, non dico accettato il reale risultato elettorale, che non conosceremo mai, ma evitato di falsificarlo in maniera così grossolana, probabilmente non avrebbe suscitato proteste di questa dimensione. L'uomo non è più adeguato al cambiamento sociale, culturale e psicologico del Paese. Ha fatto il suo tempo. Non se ne è accorto e adesso si trova in una situazione difficile».
Anche perché è l'unico leader dello spazio post-sovietico a essere rimasto al potere 26 anni…
Sandro Teti: «L'unico in Europa. In Asia per esempio c'è Nursultan Ábishuly Nazarbaev, al potere in Kazakistan dal 1989, che ha cambiato il nome alla capitale, la vecchia Astana, che ora porta il suo nome: Nursultan».
Aldo Ferrari: «Già, Nazarbaev l'anno scorso ha trovato un escamotage per rimanere al potere in posizione defilata. Oppure c'è il presidente del Tajikistan, Emomalī Rahmon,al potere ininterrottamente dal 1994. In altri casi centro-asiatici, è la morte ».
Insomma, ci sono altri casi.
Aldo Ferrari: «Soprattutto in Asia centrale. Ce ne sarebbe un altro simile nel Caucaso meridionale, ma essendo dinastico non è la stessa cosa».
Tornando alla Bielorussia, Teti condivide l'analisi di Ferrari?
Sandro Teti: «Sì. È stato troppo severo nei confronti di Lukashenko, del quale io sono sempre stato, fino a pochi anni fa, un grande sostenitore. Lukashenko veniva definito "l'ultimo dittatore d'Europa" già nel 1998. Poiché non mi fidavo, nel 2000 sono andato, partendo da Mosca, a toccare con mano. E ho trovato un enorme sostegno popolare, quasi incondizionato. Anche perché si arrivava dalla Russia e prima di arrivare al confine si vedevano fabbriche in rovina, a ogni stazione torme di persone che chiedevano l'elemosina o vecchiette che vendevano i loro poveri averi. Invece entrando in Bielorussia si trovava un Paese molto ordinato e molto pulito».
Eppure non era un Paese ricco...
Sandro Teti: «Totalmente privo di risorse energetiche e senza sbocco al mare. Eppure Lukashenko è riuscito a fare sì che la Bielorussia sia stato il Paese in assoluto con minori contraccolpi dal punto di vista sociale dopo il crollo dell'Urss. Nel resto dello spazio ex sovietico c'erano gli oligarchi, c'erano i bambini di strada e lui ha fatto in modo di non privatizzare nulla e ha fatto ogni sforzo per tenere in piedi due o tre colossi del periodo sovietico e questo ha inimicato gli americani».
Può fare un esempio?
Sandro Teti: «Sì. Belaz è un mastodontico stabilimento che produce gigantesche macchine per il movimento terra. Ha due soli concorrenti al mondo: la giapponese Komatsu e l'americana Caterpillar. Gli americani volevano acquistare questa fabbrica, ma Lukashenko ha detto no. In più il Fondo monetario internazionale voleva prestargli dei soldi in cambio di riforme liberiste e lui ha detto di nuovo no. A quel punto hanno iniziato a sparargli addosso, dicendo che era nazista. Poi dopo un po' non potevano più dirlo. Lukashenko è un grande amico di Israele: ha messo dappertutto monumenti che ricordano gli ebrei massacrati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale».
Grande amico di Israele?
Sandro Teti: «Sì. A differenza della vicina Lituania, Lettonia e Ucraina, gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti. E non dai bielorussi. In questo senso, la Bielorussia (assieme forse alla Serbia nell'ambito slavo) si distingue per non avere mai avuto pogrom e gravi episodi di antisemitismo, prima del potere sovietico e dopo».
Lo storico conferma?
Aldo Ferrari: «In larga misura sì. Poi ci sono stati casi isolati... Quanto a Lukashenko, come giustamente ricordava Teti, l'essersi immediatamente distaccato dalle politiche di liberalizzazione e l'aver mantenuto continuità con il sistema socio-economico precedente ha subito fatto scatenare una campagna di stampa che continua ancor oggi, impedendo di valutare con equilibrio ciò che di buono c'è stato in questo Paese per decenni e insistendo esclusivamente su ciò che di negativo c'è stato. È un caso abbastanza classico di informazione etero-guidata, ma così bene che spesso gli stessi operatori dei media non si rendono neanche conto di falsificare la realtà, escludendo alcuni elementi sostanziali. È chiaro che la stabilità economica e l'assenza di disoccupazione non cancella la libertà politica».
Anche nella Germania prebellica di Hitler c'era stabilità economica e mancava la disoccupazione.
Aldo Ferrari: «Però è facile sottovalutare l'importanza della stabilità economica e l'assenza di devastazioni sociali come ci sono state in tutti i Paesi post-sovietici quando non le si è conosciute, queste devastazioni».
Sì, certo.
Aldo Ferrari: «Ed è molto difficile dimostrare che i Paesi che hanno fatto queste riforme radicali negli anni Novanta siano diventati tutti democratici secondo gli standard occidentali. Secondo me ricordare che la Bielorussia ha seguito un percorso differente, di continuità non necessariamente negativa con l'Unione sovietica, salvaguardando alcuni caposaldi della vita sociale, economica e culturale deve essere fatto. Attenzione: non per giustificare...».
… per verità storica.
Aldo Ferrari: «Esatto. Altrimenti non si capisce neanche perché sino a un mese fa la grande maggioranza della popolazione sosteneva Lukashenko. Perché il Paese era lontano dall'essere perfetto, ma non aveva conosciuto quella crisi terribile a livello socio-economico che invece aveva devastato i Paesi vicini. Con le sue ultime mosse, Lukashenko ha vanificato tutto quel buono che aveva fatto. E che adesso probabilmente non gli verrà più riconosciuto».
(Continua).