Quali effetti concreti avrà il referendum turco nei rapporti tra UE e Turchia? Se “tanto rumore per nulla” sembra troppo tranchant come risposta, proviamo ad argomentarla.
A voto concluso e irregolarità accertate da parte dell’Osce (accuse che il governo turco non si è nemmeno scomodato a confutare) la Commissione UE ha fatto sapere, nuovamente, che il processo di adesione della Turchia all’Unione è ha rischio.
Una minaccia irrilevante, vista da Ankara, se è vero che Tayyip Erdoğan insieme all’annunciato referendum per reintrodurre la pena di morte ipotizza ora anche quello per fermare l’iter di adesione al club dei 27.
L’Europa non è più attraente
Da quando il tema fu posto sul tavolo, alla fine degli anni Ottanta, gli scenari globali e regionali sono mutati radicalmente: almeno due fattori — la crisi dei debiti sovrani e i flussi migratori — hanno reso l’Europa un club molto meno attraente per la Turchia.
Sono quindi irripetibili le dinamiche di un’Europa che poteva minacciare, con qualche effetto (come l’abolizione delle pena di morte nel 2002 appunto), la Turchia per la sorte del leader curdo Abdullah Öcalan che oggi sconta l’ergastolo.
L’Europa, ha un disperato bisogno della Turchia
L’Europa, ha un disperato bisogno della Turchia. Questa verità è stata sancita dall’accordo in tema migranti del marzo 2016. Erdoğan lo sa e non si cura delle critiche di una casta tecnocratica europea che ha già troppi problemi in casa propria per occuparsi di quegli degli altri.
Cosa prevede l’accordo in essere? Innanzitutto non è un accordo, ma una semplice dichiarazione, e così è stata infatti codificata giuridicamente: “Dichiarazione del 16 marzo 2016” — e stabilisce che la Turchia s’impegna a gestire i flussi per conto dell’Unione dietro il pagamento da parte di quest’ultima di tre miliardi di euro. La prima tranche. Prevista una seconda entro il 2018.
Real Politik
Quest’accordo, ricordiamo che in campo di diritto internazionale è ammessa la libertà delle forme (in parole povere la sostanza ha il primato sulla forma), esprime la real politik ai massimi livelli per una semplice ragione: funziona. Soddisfa pienamente entrambe le parti. Certo, persuade molto meno profughi, migranti e chi si occupa di diritti umani e di politiche d’accoglienza, ma questo è un altro discorso, e non intacca il sodalizio tra UE e Turchia.
Ecco perché al confronto di questo matrimonio d’interesse, l’adesione sembra un discorso ormai vecchio e paludato che nessuno, a parte le dichiarazioni di prammatica, ha interesse a portare avanti.
D’altronde la crisi innescata con Germania e Olanda durante la recente campagna elettorale ha conosciuto toni mai sentiti prima, e come si possa ricucire un rapporto dopo accuse così estreme (“siete ancora nazisti” detto da Erdoğan ai tedeschi è francamente qualcosa d’inammissibile) risulta difficile da comprendere.
Il caso di Gabriele del Grande getta una luce su questa percezione falsata di una Turchia attenta alle posizioni europee. Ieri Roberto Saviano ha sostenuto che la vicenda del suo fermo segnerà profondamente, e in negativo, i rapporti tra Italia e Turchia.
Potremmo purtroppo chiederci, mutatis mutandis, se la terribile vicenda di Giulio Regeni ha finora cambiato i rapporti politici, commerciali e diplomatici tra Italia ed Egitto. No.
Questo naturalmente deve far incentivare la mobilitazione in favore di Del Grande, a tutti i livelli, ed è bene che la pressione diplomatica su Ankara s’intensifichi, ma senza farsi illusioni.
Il governo turco non verrà a miti consigli per paura di ritorsioni, per il semplice fatto che l’eventuale ritorsione turca di sospendere unilateralmente l’accordo sui migranti aprendo l’argine dei flussi (crisi siriana in stallo e primavera alle porte) fa molta più paura alla fragile Europa in balia dei populismi.
Semplificazioni e generalizzazioni
A riguardo della Turchia vige una lettura semplificata dei rapporti di forza in campo, come semplificata è l’analogia tra Erdoğan e Putin. Il consenso elettorale di quest’ultimo, e ciò che egli rappresenta anche dal punto di visa simbolico per la storia recente russa, è altra cosa: l’immagine dello Zar e del Sultano può essere valida come iperbole, ma non regge minimamente a un esame più approfondito.
Piuttosto la parabola di come l’AKP di Erdoğan si sia trasformato negli ultimi anni da partito moderato riformista e liberale in partito di regime è una spia lampante della frizioni mediorientali che premono alle porte del Paese.
Se un movimento come l’AKP solo nel 2005 era stato ammesso con lo status di osservatore nel Partito Popolare Europeo e oggi attua noncurante l’involuzione autoritaria dello Stato dobbiamo tutti farci una domanda. Europa per prima.