Politica
November 13 2020
"Sono i miei avatar in carne ed ossa". Così Gianroberto Casaleggio definì gli eletti del Movimento cinque stelle poche settimane dopo l'ingresso trionfale in Parlamento. Era il 2013 e sembra passato un secolo.
È l'ora del bilancio. A undici anni dalla Fondazione, dopo cinque di opposizione e due di governo, Il Movimento è al bivio con l'apertura del primo congresso che si terrà questo fine settimana.
Il bivio è tutto in quella frase di GRC.
Quel mondo sta andando in pezzi. Gli avatar sono diventati adulti e non vogliono tornare indietro alle loro vite precedenti. Va in pezzi la concezione padronale del Movimento, innanzitutto: lui lo ha fondato, lui lo ha diretto, lui sceglieva chi doveva farne parte e chi no, lui sceglieva programma e parole d'ordine. Va in pezzi il progetto di GRC di un partito "comandato" dalla Rete e gestito dal suo demiurgo. Gli avatar non sopportano Rousseau, il portale dell'omonima associazione, gestita dal figlio Davide. Va in pezzi l'idea che il Movimento rinunci ad una struttura.
Perché questo vogliono gli avatar ormai cresciuti: diventare ceto politico, abbattere la regola che gli vieta più di due mandati, sostituire la Rete e Rousseau, cioè Casaleggio, con una nomenklatura, un partito.
All'opposto c'è l'Erede, il figlio di GRC che non ha la stessa tempra e non gode dello stesso rispetto del padre: è lungo questa faglia che si gioca la partita che attraversa politica estera, affari e governo. Un congresso a fari spenti per il Covid ma non solo. Ricalca le origini massimaliste, un po folli e naif, del Movimento, un ritorno al futuro dove c'è chi propone una "Pfizer italiana" per i farmaci salva-vita, lampante esempio di uno statalismo debordante come medicina ai mali del mondo. I temi delle assemblee congressuali sono lontani anni luce dall'attività degli eletti romani.
Il congresso non ha scaldato i cuori degli eletti. Vito Crimi, il capo politico "morente", ha provato a spingere i colleghi a partecipare con zero risultati. Ma soprattutto l'assise, rigorosamente online, produrrà una serie di cortocircuiti.
Il primo. L'organo direttivo, qualsiasi sia la sua composizione, non avrà legittimità politica, sarà mal sopportato dai big al governo. Casaleggio, spesso e volentieri accusato di "badare solo ai suoi affari", lo sa bene.
Da mesi ormai ha rotto i contatti con Di Maio, ha fatto la sua personale campagna congressuale martellante sugli iscritti, inibendo il blog delle stelle ai vertici M5S. Utilizza i suoi inviati, Enrica Sabatini e Pietro Dettori, puntando tutto sui militanti e la comunicazione "vecchio stile", aggressiva e dal chiaro sapore "trumpiano". È convinto di riprendere la sua (finta) battaglia antisistema. Come se questo non fosse anche il "suo" governo.
La Sabatini, socio di Rousseau, ricorda ai "governisti" che "Trump non è sconfitto, ci sono stati brogli". Dettori compulsa i social e gli engagement sulla rete, come fossero l'oracolo - dice una fonte governativa di massimo livello - "per loro il governo, il Paese, non esistono, cercano consenso nella rete attraverso Rousseau, sono rimasti con la mentalità social mentre intorno il mondo brucia".
Ecco servito il secondo cortocircuito.
Di Maio va esattamente dalla parte opposta rispetto a Casaleggio: incontra Draghi, la diplomazia di Israele, cerca sponde europeiste a Brussels. Non ci pensa nemmeno di fare il sovranista.
Il terzo cortociurcuito è tutto sulla comunicazione.
È possibile governare aspettando i responsi di Rousseau, si chiedono i big?Il fantasma della scissioneI ponti tra la comunicazione stile Casaleggio e i governisti si sono bruciati con la famosa scena del balcone al grido "abbiamo sconfitto la povertà". Da allora Di Maio ha mollato Rocco Casalino. Mai piu avatar, insomma.
Il Congresso è solo un sondaggio interno, contare chi pesa e con quali mezzi. Se quelli della politica di governo o quella dei numeri. Nessuno pronuncia la parola maledetta, scissione. Ma se i governisti hanno in Di Maio il loro leader, Casaleggio punta su Alessandro Di Battista, il Gallo Cedrone a cinque stelle.
L'idea è quella di ricreare il duopolio mediatico: Di Maio al governo, Dibba capopolo nelle piazze, il nuovo Grillo. Senza però alcun appoggio dal gruppo parlamentare. Meno che mai quello di Di Maio. Ecco allora il quarto, possibile, cortocircuito.
Se Di Battista entrerà nel board dei reggenti, proverà a riprendersi la scena che gli manca ormai da anni: vorrà incontrare di certo Conte e Mattarella, e perché no, anche il Papa, suo chiodo fisso. Ma l'epoca è diversa: non puoi fare opposizione mentre i tuoi sgobbano al governo.
L'ultimo cortocircuito è quello degli affari. Casaleggio è un player nel mondo delle consulenze (tra queste con Gilead e Philip Morris) perché detiene il Movimento ma se dovesse perdere potere di controllo che ne sarà del suo business che spesso e volentieri è stato "aiutato" dai suoi avatar? Avrà ancora senso per aziende italiane e multinazionali bussare alla sua porta?
Detto fuori dai denti. M5S diventerà un partito di centro, l'ago della bilancia neo-democristiano come sogna Di Maio, garantendo una nomenklatura che rischia il capolinea oppure riprenderà la sua vena originaria, trumpiana e sovranista targata Casaleggio?
Di Maio ha una sola possibilità di tirarsi via da questo cul de sac: chiamare Biden prima di Conte.