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January 12 2018
Ricorderete senz'altro la storia del quid, di quel tassello per nulla irrilevante che mancava ad Angelino Alfano per essere davvero un leader. Il tempo ha mostrato quanto fosse reale quel deficit strutturale nel politico che per superbia e molta mediocrità si illuse di avere le carte in regola per guidare il fronte dei moderati.
Sparito dall'orizzonte insieme con la sua creaturina parlamentare, poco ci manca e sentiremo presto qualcuno sorridere beffardo e affermare: "Alfano, chi?". Un destino che rischia di travolgere anche altri reduci di questa stagione di voltagabbanismo che si propongono come leader in cerca di identità dopo essere faticosamente riusciti a trovare almeno un logo, vedi il caso di Beatrice Lorenzin.
Il problema è tutto lì e risiede in una parola: leadership. Ne siamo a corto in Italia. Perché un leader non si improvvisa, non si inventa e non si costruisce in laboratorio.
Si è leader perché si è capaci di avere visione e indicare la strada, perché si ha la competenza per sorreggere gli argomenti, perché si ha il carisma per convincere gli elettori.
A cinquanta giorni dal voto si vedono distintamente tre leader, due in corsa e uno nascosto. Non v'è dubbio che Silvio Berlusconi e Matteo Renzi lo siano per qualità e requisiti.
Ognuno potrà poi obiettare all'uno o all'altro difetti e attitudini: è certo però che per Berlusconi parlano da soli in maniera incontestabile i traguardi raggiunti prima in campo imprenditoriale e successivamente in politica; nel caso di Renzi manca pressoché totalmente la trincea lavorativa mentre non gli si può disconoscere l'arte nella gestione della politica.
Il terzo leader che attualmente gioca a nascondino è Beppe Grillo il quale, siccome stupido non è, ha lanciato in campo una pallina da flipper qual è Luigi Di Maio. Che, esattamente come una pallina in un flipper, rimbalza impazzito da una parte all'altra nel tentativo di intercettare il favore popolare e accendere lo special del consenso elettorale.
Da qui il profluvio di promesse fantasmagoriche, decine di miliardi di misure lanciate a capocchia fino a immaginare un taglio di 40 (quaranta!) punti percentuali nel rapporto debito/Pil in due legislature.
Ambiscono a guidare il Paese anche Pietro Grasso e Matteo Salvini. Il primo ha esordito in modo certamente non brillante con lo scivolone sulle tasse universitarie dopo aver macchiato di partigianeria la figura alta e nobile della presidenza del Senato, quanto a Salvini può solo migliorare. Magari potrebbe ispirarsi a Roberto Maroni...