Macron, Scholz, Biden e quella strana voglia di guerra alla Russia

Se prima eravamo in due a ballare l’Hully Gully, adesso siamo in troppi. Il verso di una celebre canzonetta estiva di Edoardo Vianello ricalca appieno quel che succede sul fronte internazionale in relazione alla guerra in Ucraina. Dove non è più soltanto il presidente Zelensky a chiedere armi per colpire la Russia all’interno dei suoi confini. Già, perché adesso ci si sono messi anche Francia, Germania, Polonia, Regno Unito, Finlandia, Paesi Baltici e… Stati Uniti.

Dunque, c’è poco da cantare o da stare allegri. Di certo, vale per Mosca, ma anche per l’Europa, su cui grava la minaccia neanche troppo velata di Vladimir Putin, che a forza di agitare lo spauracchio del nucleare, potrebbe essere tentato di usarlo davvero pur di impedire l’umiliazione di vedere la sua patria nuovamente violata da forze europee.

Sarebbe la prima volta da quando le truppe tedesche penetrarono in terra sovietica con ben 134 divisioni: era il 22 giugno del 1941 e per un attimo il mondo temette davvero di dover parlare tedesco per molti anni a venire. L’Operazione Barbarossa, questo il nome dell’invasione ordita da Hitler, ebbe esito fallimentare per l’Asse ma la storia sembra non avere insegnato molto.

Oggi non siamo certo nella medesima situazione di allora, ma la sensazione è che siamo come nel 1914 o nel 1939, quando cioè una guerra mondiale era ancora evitabile eppure sempre più vicina. Per questo, la notizia che soprattutto il ritrovato asse franco-tedesco si dichiari concorde nell’autorizzare Kiev a bombardare il territorio russo – sinora un tabù del sostegno occidentale all’Ucraina, che ha retto alla prova del tempo, nonostante alcune incursioni mirate – fa rabbrividire.

Non solo, un’altra parolina è stata pronunciata da Macron: istruttori, consiglieri, berretti verdi, francesi in primis ed europei poi, potrebbero presto paracadutarsi sul suolo ucraino per rinfoltire le prime file della linea di difesa ucraina e consigliare le strategie militari direttamente dal campo. Non ci credete? In realtà, molti sono già là e fanno parte delle «brigate internazionali» che assistono nell’ordine di qualche migliaio i soldati ucraini, seppur a titolo personale (ce ne sono anche tra i russi). Ma un conto sono i volontari, un altro gli ufficiali.

Qual è dunque il fine ultimo del presidente francese Emmanuel Macron? E quale invece quello del cancelliere tedesco Olaf Scholz? Si è detto più volte, forse per esorcizzare l’avverarsi della minaccia, che tali dichiarazioni «guerrafondaie» siano meramente funzionali a ringarzullire l’elettorato francese e tedesco in vista delle elezioni europee.

Ma quand’anche la Nato per bocca del suo segretario Stoltenberg, e in ultimo la stessa Casa Bianca, affermano l’uno che l’Ucraina debba essere «libera di usare le armi degli alleati contro Mosca» e l’altra che «Joe Biden sta valutando la revoca delle limitazioni poste a Kiev all’utilizzo delle armi a breve raggio americane da usare contro la Russia», qualche dubbio viene.

Intanto, al coro si sono già unite Polonia e Finlandia, in dichiarazioni fotocopia: «Kiev può usare le nostre armi per colpire la Russia. Non ci sono restrizioni» ha dichiarato il vice ministro della Difesa Cezary Tomczyk. E ancora: «L’Ucraina può attaccare la Russia con le armi date dalla Finlandia, che non ha posto alcuna restrizione speciale sui suoi aiuti all’Ucraina» informa il governo di Helsinki.

Macron, tuttavia, ha fatto ben di più: se da mesi ipotizzava l’invio di istruttori militari francesi per coordinare la difesa delle prime linee ucraine, adesso indica con precisione quali città russe colpire, con tanto di cartine cerchiate a favore di telecamera. Quali siano queste località lo ha spiegato meglio il collega Scholz: «Gli obiettivi devono essere i siti da cui partono gli attacchi e non altri, magari di valore strategico o tattico per la guerra».

Si tratta di una virata a 360 gradi per la pacifista Germania, che non lascia presagire niente di buono. Può questa essere soltanto una provocazione? Una sfida alla tracotanza di Putin? O c’è di più? Per quanto attiene al presidente francese, è stato il primo a recarsi a Mosca da Putin nei giorni bui del 2022, quando tutto era incerto e ancora possibile. Tenuto a distanza (anche fisica) dal capo del Cremlino e da questi sbeffeggiato in più occasioni, Macron col tempo ha svestito i panni da paciere e – vuoi per orgoglio ferito, vuoi perché ha ben compreso che con il presidente russo è del tutto inutile parlare – ha deciso che sia meglio indossare l’elmetto.

E così ci ritroviamo all’oggi, quando ufficialmente l’Unione Europea presuppone ancora che il materiale venga utilizzato «in conformità con il diritto internazionale» (qualsiasi cosa significhi) e si attiene alle premesse Nato di non colpire la Russia. Ma ufficiosamente Bruxelles è sempre più compatta nell’impartire una lezione ai russi, affinché Mosca non vinca la guerra e acconsenta a porre fine alle ostilità. Ma per farlo, bisogna impressionare Putin e colpirlo laddove gli fa più male, ovvero in casa sua.

Ora, nell’analizzare i precedenti attacchi ucraini in territorio russo non si possono dimenticare le molteplici incursioni dei «legionari della Libertà per la Russia» e dei «Corpi volontari» (ovvero combattenti russi addestrati da Kiev) sulla città di Belgorod, vicino al confine con la regione di Kharkiv, dove si trovano la logistica militare e gli impianti di rifornimento per le truppe d’invasione. Ma neanche si possono scordare gli strike su impianti per la produzione di carburante in varie località ben più distanti, compresa San Pietroburgo, e i droni kamikaze sulla stessa Mosca, uno dei quali è finito sul tetto del Cremlino la notte del 3 maggio 2023 (una mossa più psicologica che altro).

Senza contare il boicottaggio del gasdotto North Stream e il danneggiamento del ponte che collega la Crimea ai territori della Federazione russa. A partire quest’anno, le forze di Kiev hanno lanciato anche una trentina di attacchi che hanno danneggiato oltre il 15% della produzione di carburante russo, provocando l’ira del Cremlino.

Tuttavia, Mosca sinora ha liquidato tali attacchi contro il proprio territorio come «atti di terrorismo», affermando peraltro che i droni ucraini non riuscirebbero a volare così lontano senza l’aiuto dell’Occidente. Il che ci restituisce il punto di partenza. Ovvero che l’Occidente – noi – siamo già in guerra contro la Russia, solo che fingiamo di non vederlo o volerlo.

Secondo molti analisti militari, il vero obiettivo dell’Ucraina e degli strateghi atlantisti che sussurrano all’orecchio di Zelensky non sarebbero soltanto i territori intorno a Belgorod, quanto piuttosto la Crimea. E questo per due ragioni: primo, l’Occidente riconosce ancora la penisola come territorio ucraino, e dunque Kiev in punta di diritto sarebbe legittimata a riconquistare un territorio sottrattole con la forza, da dove puntuali partono gli attacchi contro le regioni di Zaporizhia, Odessa e Kherson. Le stesse Nazioni Unite non potrebbero negarlo.

Secondo, la Crimea è al contempo il fiore all’occhiello e il tallone d’Achille di Vladimir Putin: se l’area fosse posta sotto attacchi incessanti, il Cremlino sarebbe costretto a difenderla a ogni costo e a mobilitare ulteriori forze (visto che l’Ucraina ha praticamente annullato la flotta navale russa del Mar Nero), il che minerebbe sia l’immagine sia la fiducia in sé delle forze armate russe, già fiaccate da due anni di insuccessi militari.

Vero è che Mosca ha ancora la forza per portare avanti questo conflitto per anni, ma il logoramento, le sanzioni e un’eventuale presa di distanza da parte della Cina isolerebbero quasi definitivamente la Russia. Che, per inciso, dai tempi degli zar non ha mai davvero vinto in maniera chiara una guerra.

Quanto a noi, come dice Domenico Quirico su La Stampa, «trattare con il complesso militar industriale (e finanziario) una volta che è riuscito a infilare un piede nella porta, è terribilmente difficile, ti conduce dove non volevi arrivare». E, in effetti, nessuno vorrebbe arrivare allo scontro diretto con la Russia. Ma, senza rendercene conto, quel capitolo è già cominciato.

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