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April 19 2021
Questa è la storia di Francesca C., madre bolognese. È una storia cupa, costellata di disavventure paradossali e sconvolgenti: un'Odissea durata oltre vent'anni, che purtroppo non è ancora terminata. È la vicenda di una donna che oggi accusa la giustizia e gli enti locali di averla lasciata sola, per di più con due figli piccoli, in balìa di un compagno e padre che lei stessa ha accusato di gravi violenze e che rivendica di aver fatto condannare in via definitiva. La donna grida che chi avrebbe dovuto proteggerla l'ha tradita, che i servizi sociali non l'hanno mai davvero tutelata. Chiede aiuto, vuole tornare a vivere con i due figli.
Francesca ha condensato le sue accuse in una denuncia lunga 17 pagine, depositata pochi giorni fa presso la Procura di Bologna. In quelle pagine, Francesca racconta di aver convissuto con il compagno per 12 anni, e di aver sofferto le pene dell'inferno: «Venivo picchiata», scrive, «violentata, umiliata, derisa, minacciata di essere sfregiata con l'acido». Nell'esposto, Francesca aggiunge che l'uomo la minacciava, le diceva «che avrebbe scannato i miei figli se solo lo avessi lasciato o denunciato». I bimbi, un maschio nato nel 2000 e una femmina nata nel 2004, ovviamente hanno sofferto disperatamente per quella situazione. Nell'animo, ne portano anche loro le conseguenze
Quando finalmente nell'agosto 2012 Francesca trova il coraggio di denunciare il compagno per le violenze e i maltrattamenti, viene trasferita in una prima struttura protetta. Ma a quel punto comincia un nuovo incubo: nella denuncia, la donna racconta infatti che le assistenti sociali, da quel momento e per i dieci anni successivi, hanno fatto di tutto tranne che garantirle l'aiuto che chiedeva e meritava. Va detto che dalla denuncia risulta evidente che fin dall'inizio della vicenda, purtroppo, non si crea alcuna empatia tra la madre disperata e chi per professione dovrebbe sorreggerla. Francesca sostiene di essere stata trattata come un pacco postale: lei e i suoi bimbi continuano a traslocare da una struttura all'altra e a nulla servono le proteste. Francesca si lamenta per lo sporco e per il mangiare di scarsa qualità. Racconta di posti squallidi e «con i topi» e dove a lei e ai bambini veniva dato «cibo scaduto». In un'occasione dice di aver dovuto dormire addirittura per terra, con i figli, «perché il materasso era sporco di sangue mestruale e impregnato di urina». Francesca è preoccupata anche perché i due bambini, che intanto hanno dovuto cambiare scuola per non essere sottoposti al rischio d'incontrare il padre, nel frattempo indagato per maltrattamenti, piangono continuamente. Quasi ogni giorno la donna chiede perché da casa non venga allontanato invece il padre violento, per potervi fare ritorno.
Il solo risultato di tante lamentele, ai suoi occhi ovviamente paradossale, è che le assistenti sociali presto la percepiscono come «ostile», quasi fosse disturbata, tanto che arrivano a farla visitare da una psichiatra. È inutile che la diagnosi neghi qualsiasi disturbo in Francesca. A quel punto, il rapporto di fiducia tra la donna e le istituzioni, già gravemente incrinato, si spezza definitivamente. I servizi sociali cambiano orientamento e si fanno quasi punitivi, tanto da decidere di passare agli incontri tra padre e figli: «Contro la loro volontà», sottolinea Francesca nella denuncia, «in quanto avevano ancora molta paura di lui e non volevano vederlo».
Confusa, disperata, nel novembre 2012 Francesca vuole uscire dall'ultima struttura protetta dov'è finita e dove si trova malissimo, e per riuscirci scrive oggi nella denuncia di essere stata indotta dai servizi sociali a ritirare la denuncia contro il compagno. È vero che la ripresenta subito dopo, una volta tornata «libera», ma quella contraddizione diventa forse il pretesto perché vengano stabiliti incontri liberi tra i due bimbi e il genitore, e addirittura si arrivi a interi weekend di coabitazione, con tanto di pernottamento presso la nuova abitazione dell'uomo. Intanto, per Francesca, nulla cambia. Anzi. La donna scrive nel suo esposto che, «anche durante lo scambio dei bambini, lui continuava a picchiarmi e minacciarmi. In tali occasioni, notavo anche un cambiamento emotivo dei miei figli che di fronte a tali atrocità a volte ridevano».
Sempre più angosciata, sentendosi ormai abbandonata da tutti e per di più vittima di un'indicibile ingiustizia, a quel punto Francesca si rivolge direttamente al magistrato bolognese che segue il suo esposto per le violenze, gli abusi sessuali e i maltrattamenti. Il pubblico ministero Augusto Borghini è tra le rare figure positive di questa storia disperante. «In lacrime gli raccontai quello che mi stava succedendo», ricorda Francesca, «e che i servizi sociali erano inadempienti, incapaci di aiutarci e tutelarci (…). Quindi chiesi protezione per me e per i miei figli». La denuncia finalmente funziona. Il 17 ottobre 2013, il compagno di Francesca viene arrestato e dopo due settimane, all'uscita dal carcere, gli viene proibito anche di avvicinarsi ai membri della sua famiglia. Francesca sostiene oggi che anche in quel periodo, malgrado le severe prescrizioni stabilite dai magistrati, i servizi sociali «continuavano a obbligarmi a mantenere un rapporto "pacifico", conservando gli incontri liberi tra padre e figli senza la presenza di nessun educatore». Grazie a quelle pratiche, la donna racconta di essere stata gradualmente - ma intenzionalmente - allontanata dai due bambini, che vengono alienati dal suo affetto e condizionati psicologicamente dal padre. La figlia è sempre più aggressiva, mentre il figlio ha comportamenti alimentari patologici e compulsivi.
La giustizia penale, intanto, va avanti. Nell'aprile 2016 il compagno di Francesca viene condannato in primo grado a tre anni di reclusione per violenza privata, violenze sessuali e maltrattamenti, e nel settembre 2018 la condanna viene confermata anche in Corte d'appello. Questo, scrive oggi la donna nella sua denuncia, non impedisce che - mentre il giudizio è in corso - figlio e figlia vengano inopinatamente affidati al condannato: «Senza l'autorizzazione del giudice», osserva la donna, «ma su iniziativa degli assistenti sociali». Malgrado non sia mai stata privata della sua potestà genitoriale, in quegli anni Francesca si trova quindi nella posizione diametralmente opposta a quella che ha vissuto all'inizio della sua Odissea. È un paradosso insopportabile: «Gli incontri protetti con i miei figli», scrive nell'esposto, «adesso spettavano a me». Iniziano così anni d'incontri strazianti, che durano un'ora al giorno e di fatto sfibrano ogni relazione. «Ogni volta mi veniva ripetuto che era volontà dei miei figli vedermi alla presenza di un educatore, e che il giudice aveva acconsentito. Ma io, io non sono stata mai ascoltata da un giudice in tutti questi anni».
Nel giugno 2019 la Corte di cassazione, confermando la condanna dell'uomo per le sole violenze sessuali ai danni di Francesca, ordina un nuovo procedimento per le violenze e i maltrattamenti nei confronti dei figli. Nel frattempo, però, il rapporto d'amore tra madre e figli è stato scosso, disgregato, spezzato. Non servono a nulla i disperati tentativi di Francesca: in quel periodo conserva il contatto soltanto con il figlio, che continua a incontrare regolarmente, ma intanto non vede più la figlia, ormai adolescente, che invece scivola verso brutte compagnie. Sempre più angosciata, la donna non sa più che fare e avvia una battaglia mediatica sui social media. Per sua fortuna, la ragazza se ne accorge, si mette a leggere di nascosto gli appelli della madre e capisce che cosa è accaduto. Francesca e sua figlia s'incontrano dopo quattro anni di separazione il 9 luglio 2020: « Mi hanno portato via una bimba di 12 anni e ho riabbracciato una ragazza di 16 anni», ricorda commossa Francesca. La ragazza le racconta che ha sentito tanto la sua mancanza e che finalmente adesso sa la verità. Ma aggiunge con suo padre e suo fratello «era un casino», che «nessuno si occupava di lei e nessuno le preparava un piatto caldo, era sempre sola, tanto che dormiva fuori casa perché non ce la faceva più a vivere in quella casa dove si parlava sempre male di me per farmela pagare».
La sentenza definitiva dell'ex compagno di Francesca arriva nel febbraio di quest'anno: l'uomo viene condannato dalla Cassazione a 2 anni e 11 mesi di reclusione per violenza sessuale. Il risultato della storia, comunque, non cambia, ed è crudele: Francesca lamenta che il rapporto con i due figli è stato squinternato per anni, e protesta per le sofferenze immense che ha subìto. «Qualcuno pagherà mai per il nostro dolore?» domanda.
È per questo se, assistita dall'avvocato Pasqualino Miraglia di Modena, la donna si è finalmente decisa a denunciare per falso ideologico «e per tutti quei reati che potranno essere ravvisati» le nove assistenti sociali bolognesi che in tutti questi anni hanno avuto in carico la sua vicenda. «Si fa un gran parlare di aiutare le donne vittime di violenza», commenta il legale, sconcertato, «ma questa è la situazione concreta. Se i servizi sociali avessero ascoltato Francesca, tutto questo non sarebbe accaduto. Oggi chi risarcirà mai questa donna e i suoi figli per tutto quel che hanno subìto?».
Il Comune di Bologna respinge ogni accusa e all'esposto presentato in Procura da Francesca replica che la sua ricostruzione dei fatti presenterebbe «elementi che non corrispondono a verità»: per esempio non risulterebbe che la donna abbia mai ritirato la denuncia contro il compagno. «Peccato che ci siano le relazioni di tante assistenti sociali che dicono il contrario», dice Francesca.
Il municipio parla anche di «un unico collocamento in comunità di madre e figli», durato quattro mesi nel 2012», e aggiunge a sua discolpa che «ogni attività svolta dalle assistenti sociali è stata autorizzata in via preventiva dall'autorità giudiziaria minorile», cioè dal Tribunale dei minori di Bologna, peraltro già finito nelle polemiche nel 2019 per i presunti allontanamenti dei bambini di Bibbiano sui quali adesso sta giudicando il tribunale di Reggio Emilia. Anche sul caso di Francesca C, adesso, la parola passa alla magistratura.