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December 19 2017
Spietata, spregiudicata e determinata. “La Padrona”, ovvero, Maria Angela Di Trapani, moglie del boss Salvino Madonia, finita in carcere lo scorso 5 dicembre nell’ambito della maxi operazione dei carabinieri denominata “Talea”, si comportava come un uomo di Cosa Nostra ed era temuta come un boss di mafia.
Discuteva e decideva su chi dovesse essere il reggente del clan e, con la stessa determinazione e freddezza, faceva arrivare i messaggi del marito e dei cognati, detenuti in carcere in regime del 41 bis, agli affiliati dei mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana di Palermo.
Il nomignolo affibbiato a Maria Angela Di Trapani era appropriato: lei comandava. Come una padrona. Era lei che in assenza del marito, arrestato il 13 dicembre 1991, puntava il dito e decideva se un affiliato “si doveva stare a casa” oppure diventare boss, come nel caso di Giovanni Niosi, per il mandamento del quartiere di Resuttana.
"Le indagini hanno dimostrato come le donne, mogli di boss, si siano trovate costrette dagli eventi a sostituire i mariti detenuti in tutto e per tutto" spiega a Panorama.it il colonnello Antonio Di Stasio, comandante del Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Palermo "si tratta di un cordone ombelicale che lega gli storici rappresentanti ai parenti ancora attivi sul territorio, ai quali viene demandato il compito di orientare le scelte sui capi operativi".
"Sono valutazioni fondamentali per l’organizzazione, che determinano anche le strategie di aggressione del territorio e le scelte sulle fonti di reddito che servono ad incrementare le casse mafiose - prosegue il colonnello Di Stasio - soprattutto per il mantenimento delle famiglie dei detenuti, assicurando a quest’ultimi maggiore serenità nel loro regime detentivo".
Maria Angela Di Trapani, però, non è un esempio isolato: a fine settembre Teresa Marino, moglie del capomafia di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti, è stata condannata a 14 anni di carcere con il rito abbreviato.
“Le donne spesso non si limitano a favorire le attività delittuose dei congiunti detenuti – continua il comandante dei Carabinieri di Palermo - diventano loro stesse proprietarie di quote o addirittura intestatarie di società e imprese per lo più usate per il riciclaggio del denaro sporco, oppure di immobili o esercizi commerciali acquistati con denaro illecito”.
Ma le donne di Cosa Nostra non decidono solamente, agiscono.
“Ci sono donne che ricoprono un ruolo attivo negli affari della famiglia mafiosa, svolgendo compiti criminali in prima persona, tanto da essere definite “madrine” a pieno titolo. Sono soprattutto le donne appartenenti a famiglie storiche di Cosa Nostra, quelle sposate con mafiosi di rango e coscientemente partecipi delle attività dei congiunti”.
Tra queste anche Ninetta Bagarella, vedova Riina.
“La Bagarella è stata chiamata a dirimere una lite per ragioni di pascolo abusivo tra due famiglie del corleonese, una vicina ai Provenzano e l’altra proprio ai Riina - prosegue il colonnello Di Stasio - La Di Trapani e la Bagarella sono quindi donne che, mai affiliate formalmente a Cosa Nostra, si sono nel tempo emancipate: da fiancheggiatrici, messaggere e prestanome sono diventate leader riconosciute e rispettate dalla stessa organizzazione, condividendo il ruolo, l’autorità e il potere decisionale dei propri mariti”.
Al fianco di queste donne, che per i colpi inferti dallo Stato e per l’introduzione del regime del carcere duro sono diventate le "naturali" sostitute dei propri uomini, ve ne sono altre che hanno “ripudiato” la violenza e le logiche mafiose dei propri congiunti.
"Altre donne" della mafia palermitana, come Giusi Vitale e Carmela Iaculano.
“La Vitale, già capo mandamento di Partinico, è la prima donna condannata per associazione mafiosa nel 1998. Ha seguito le orme dei fratelli fino a ereditare il potere di decidere la vita o la morte dei suoi nemici, incontrare e trattare alla pari i vertici di Cosa Nostra - ricorda Di Stasio - Carmela Iaculano, moglie del mafioso Pino Rizzo di Cerda, è stata al fianco del marito come consigliera e complice. Entrambe, però, dopo un lungo periodo di illegalità, hanno deciso di collaborare con la giustizia e affidarsi allo Stato - conclude il colonnello - hanno deciso di salvare se stesse e i propri figli assicurando loro un futuro diverso. Sono state donne che hanno avuto il coraggio di dire “no” al ruolo di mafiose, a quella vita e a quel destino che Cosa Nostra sembrava aver scritto per loro”.