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August 03 2014
Anni fa, quando ancora ero ancora uno studente universitario, venne a Milano Allen Ginsberg, guru della beat generation americana.
Fernanda Pivano mi chiese di andarlo a prendere, per accompagnarlo nel luogo dove avrebbe tenuto la sua lettura di versi.
Appena lo vidi, gli chiesi: ‘Are you Allen Ginsberg, the famous poet?’. E lui mi rispose, con il candore e la semplicità stralunata del genio umile: ‘I am one of them’ ovvero ‘Sono uno di loro’ .
In macchina mi chiarì che era il poeta, il prof universitario, il musicista, l’attivista contro le guerre, il rivoluzionario, l’imprenditore con una libreria ed una casa editrice, lo showman, l’amante, e molte altre persone, tutte riconducibili a se stesso. Fu una bella lezione per me! Mai etichettare qualcuno con una definizione cosi parziale, come quella del lavoro che svolge!
Ognuno di noi è un essere complesso che gli altri, per scarsità di tempo, tendono a definire ricorrendo al suo lavoro, ad un aggettivo, o – peggio – ad una piccola calunnia, magari facendola passare inizialmente per un complimento, che lascia il segno in chi l’ha accettata ed in chi l’ha subita.
Un esempio: ‘E’ un creativo’, che negli USA è il miglior complimento che si possa fare ad una persona, in Italia si interpreta come: ‘E’ un cialtrone, è poco affidabile, è uno che propone sempre nuovi modi di fare le cose, quindi rompe le scatole perché non esegue quello che gli si ordina, ed è poco incline a rispettare le regole!’.
Attenzione, perché le etichette che diamo agli altri sono il nemico dell’innovazione e del cambiamento: cristallizzano le persone in giudizi monolitici, in cui esse stesse si autorelegano, limitando le proprie possibilità di crescita! Se un’azienda vive di etichette, blocca la crescita umana e professionale dei propri colleghi, ed – alla fine – rimarrà essa stessa chiusa in un’etichetta: quel brand che, senza innovazione, nel tempo diverrà obsoleto!