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January 23 2019
Voi non potete capire. Chi soffre di mal di testa gira sempre con un’irragionevole scorta di pillole con sé (se non ce l’ha, parte l’emicrania da ansia); ogni notte ne tiene una sul comodino, a portata di mano, perché non si sa mai; se va in ferie ne stipa intere confezioni in valigia, chissà se all’estero quel farmaco ce l’hanno; ai primi sintomi comincia a entrare in paranoia; non di rado finisce al pronto soccorso dove, siccome ha «solo» un attacco per quanto furibondo di mal di testa e nausea, attende per ore inchiodato al suo «codice verde». E, naturalmente, vive circondato da amici e colleghi «che il mal di testa non so neanche cos’è».
Pare un incubo? Lo è, alleviato a malapena da farmaci di ogni tipo spesso comprati a casaccio e consigli di altri sventurati emicranici che suggeriscono medicinali miracolosi (su di loro) e rimedi più o meno improbabili. Rassegnato ai suoi tormenti, sarà però felice di sapere che, finalmente, qualcosa sta cambiando: è in arrivo una nuova molecola, un anticorpo monoclonale (che funziona come un proiettile «intelligente») in grado di dissipare o quantomeno ridurre di parecchio gli attacchi. Un’iniezione sottocutanea una volta al mese, per un ciclo iniziale di tre dosi.
Finora, contro la cefalea, c’erano analgesici e antinfiammatori che alleviano genericamente il dolore, che sia alla testa, alla schiena o ai denti. Oppure farmaci più specifici come i triptani. In ogni caso, terapie che agiscono solo sui sintomi. E di cui spesso si finisce per abusare fino a peggiorare il problema.
Perché poi è così che funziona: si prende il farmaco, si sta bene, appena finisce l’effetto il male torna, si assume un secondo farmaco, il dolore passa di nuovo e poi ricompare, altra pillola e così via. «Un circuito che alimenta la cefalea. Il dolore è come una molla che torna, il farmaco è l’omino che la tiene giù, di volta in volta si può cambiare omino ma il problema resta» spiega bene il Dott. Fabio Frediani, direttore dell’Unità operativa di neurologia all’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, uno dei centri italiani ad aver sperimentato il nuovo farmaco (come è emerso nell’ultimo Congresso della Società italiana di Neurologia).
Che cos’ha di diverso? L’erenumab, così si chiama l’anticorpo monoclonale, non punta ai sintomi ma ai meccanismi alla base. Per entrare nel dettaglio, prende di mira una proteina (la cui sigla è CGRP) che ha un ruolo chiave nell’innescare il dolore, quale che sia il fattore scatenante. «Nel fragile equilibrio di chi soffre di emicrania, basta che qualcosa crei scompiglio, lo stress, l’alimentazione, la mancanza di sonno, per far partire l’attacco» continua Frediani. «Nello spazio fra arterie, vene e nervo trigemino si liberano una serie di sostanze, fra cui questa proteina: in tutti gli studi si è visto che il suo livello aumenta nel sangue. L’anticorpo monoclonale ne blocca l’attività».
Nel mondo le persone su cui è stato sperimentato sono oltre 3 mila: nel 60 per cento dei casi si è dimezzata la frequenza delle crisi; e il 25 per cento dei pazienti non ha più avuto attacchi a distanza di un anno. Significa, per chi questa malattia ce l’ha ricorrente, un salto nella qualità della vita (oltre che la possibilità di disintossicarsi dal fai-da-te).
Al Centro Cefalee della Fondazione Mondino di Pavia, alla fine dello scorso dicembre è stata trattata la prima paziente italiana. «Altri inizieranno la terapia a breve. Per valutare i risultati reali dobbiamo rivedere i pazienti a distanza di qualche mese. In ogni caso, negli studi clinici abbiano avuto una risposta positiva già nel primo mese, con effetti collaterali scarsi, sovrapponibili al placebo» dice Grazia Sances, direttore del Centro Regionale per la Diagnosi e Cura delle Cefalee della Fondazione Mondino. «Non solo. Il trattamento, ogni quattro settimane con una fiala sottocutanea, facilita l’adesione alla cura da parte del paziente, che non è più costretto ad assumere compresse tutti giorni, per vari mesi».
Perfetto, quando lo troviamo in farmacia? E lo possono prendere tutti quelli che hanno mal di testa, che sia cefalea muscolo-tensiva, a grappolo, emicrania classica (il catalogo del mal di testa ne prevede circa 200 tipi diversi). Calma. Per ora l’erenumab è sì disponibile in farmacia, dal 12 dicembre scorso, ma a prezzi proibitivi, circa 700 euro a fiala, solo con la prescrizione di uno specialista e non rimborsabile. Prima che sia accessibile anche a chi ha uno stipendio normale, bisogna attendere che finisca la trattativa in corso fra l’azienda farmaceutica che lo produce e l’Aifa (un po’ come è successo nel caso del farmaco contro l’epatite C). Dopo di che si stabilirà il prezzo finale e a quale tipologia di pazienti il Servizio sanitario nazionale lo passerà.
E poi: per la cefalea a grappolo l’erenumab potrebbe anche funzionare, sono in corso gli studi. Per quella muscolo-tensiva, che parte da spalle e collo, pare di no. O, almeno, non è stato sperimentato e quindi non ha indicazione al trattamento.
Nel frattempo, quel martello pneumatico alle tempie come lo fermiamo senza ricominciare il consumo compulsivo di pasticche? Una buona idea sarebbe, se dal mal di testa si è perseguitati, rivolgersi a uno dei tanti Centri per le cefalee (l’elenco si trova sul www.sisc.it/ita/centri-cefalee-in-italia) dove si capirà di quale forma esattamente si soffre e magari da che cosa è scatenata. Soprattutto, ci si potrà disintossicare da quel groviglio di «triptani, analgesici vari, da soli e in combinazione con caffeina, oppioidi o barbiturici che possono al momento alleviare il dolore ma non impediscono gli attacchi successivi» avverte Sances. «L’unico farmaco con indicazione specifica per prevenire l’emicrania cronica è, a oggi, la tossina botulinica, che ha mostrato una buona efficacia. Le terapie non farmacologiche come agopuntura, bio-feedback, tecniche di rilassamento, psicoterapia e simili possono aiutare nelle forme in cui hanno un ruolo tensione psicofisica o posture scorrette».
Esiste infine un apparecchietto dal nome accattivante, Cefaly: una specie di mezza fascia che si attacca alla fronte con un adesivo e, tramite un elettrodo, trasmette microimpulsi al nervo trigemino, coinvolto nella maggior parte dei casi di mal di testa. Il tutto dura un’oretta in fase acuta, una ventina di minuti nel programma di prevenzione (come spiegano sul sito con dovizia di particolari). Un’americanata, sembrerebbe, ma gli esperti non lo stroncano affatto: «Qui al San Carlo utilizziamo questi neurostimolatori sui pazienti resistenti ai farmaci» dice Frediani. «E in certi casi funzionano bene».
Combattuto da anticorpi monoclonali «intelligenti», tossina botulinica, elettrodi, il male alla testa qualcosa però ci dice: come tutti i dolori, è il segnale che qualcosa non va per il verso giusto. Che sia la postura, il modo di stare al lavoro, l’alimentazione, il cuscino su cui dormiano, o semplicemente il nostro stile di reazione all’esistenza, prima di stroncarlo con due analgesici e poi altri due, proviamo ad ascoltarne il messaggio. Sarà il primo passo per liberarcene. O per farne un compagno di vita non troppo invadente.
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