Malattia di Crohn: attenzione ai sintomi
Ester aveva quindici anni, ed è morta il 12 ottobre scorso, all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Poche ore prima, era stata dimessa dal Pronto Soccorso di Treviglio con la diagnosi di “influenza intestinale” e con una terapia a base di sali minerali per evitare la disidratazione. Invece, non era quello il problema. Quando viene portata a Bergamo, ormai troppo tardi per salvarla, alla Tac viene riscontrata una perforazione intestinale: i medici ipotizzano una forma fulminante di malattia di Crohn. Le malattie croniche infiammatorie intestinali, come appunto la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa, sono in enorme crescita in tutto il mondo. Colpiscono prevalentemente in giovane età e possono rendere la vita davvero complicata, a volte impossibile.
In Italia, esattamente a Milano, opera un medico tra i maggiori esperti a livello globale di queste patologie (come certificato dal ranking internazionale), il professor Silvio Danese, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e ordinario di Gastroenterologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. A lui abbiamo chiesto di raccontarci lo “stato dell’arte” di queste patologie, per non sottovalutare i sintomi ed evitare problemi che possono rivelarsi anche molto gravi, e di raccontarci di più sul Centro di eccellenza che dirige.
Professor Danese, può essere molto rischioso confondere i sintomi della malattia di Crohn? Sottovalutandoli si rischia di giungere in ospedale quando già i danni sono importanti?
C’è molta confusione con la sindrome del colon irritabile, e quindi, purtroppo, il Crohn è ancora oggi una malattia che spesso viene diagnosticata con una media di oltre 2-3 anni di ritardo. Essendo considerata una malattia poco comune, non ci si pensa in prima istanza e i pazienti giungono da noi già con diverse complicanze.
Spieghiamo bene cosa sono le malattie croniche infiammatore intestinali?
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI o IBD in inglese Inflammatory Bowel Disease) sono malattie che, appunto, “infiammano” l’intestino, e comprendono: la malattia di Crohn, la colite ulcerosa, la colite indeterminata e le coliti microscopiche e tutte comportano sintomi molto variabili. Non sempre la diagnosi è chiarissima. La Malattia di Crohn e la colite ulcerosa, sono in fortissima crescita: 200 mila persone in Italia e 4 milioni in Europa. In Paesi come il Canada, però, troviamo l’incidenza più alta: si registra un malato ogni 100 persone, esattamente come per la celiachia. Il trend quindi è questo, si prevede, tra qualche anno, che anche alle nostre latitudini i numeri saranno simili. Le cause sono ancora sconosciute, ma molto probabilmente dipendono da uno stile di vita poco sano, dall’alimentazione e dall’ambiente.
Quali sono i sintomi che possono farcele sospettare?
I sintomi non sono sempre di facile interpretazione, soprattutto per la malattia di Crohn che, come detto prima, viene spesso confusa con la sindrome del colon irritabile. Le persone possono manifestare sintomi come diarrea e presenza di sangue, per cui tipicamente ci si rivolge al gastroenterologo ma, in più della metà dei pazienti, i sintomi possono essere molto variabili: dolore alla pancia, gonfiore ricorrente, cattiva digestione, irregolarità intestinale. Questo può indurre a pensare che si tratti di intolleranze, al fatto di aver mangiato pesante, con il rischio di sottovalutare il problema, finché si incorre in una complicanza, si arriva in ospedale e si riceve diagnosi. Invece, i sintomi della rettocolite ulcerosa solitamente sono più chiari e comprendono: sanguinamento rettale, diarrea ematica, crampi addominali, perdita di peso e febbre.
Come si fa la diagnosi? Quali esami si devono fare?
Partiamo da un presupposto: non esiste il test diagnostico, come per esempio per la celiachia, patologia per la quale la diagnosi viene effettuata in un primo momento tramite le analisi del sangue, che rilevano il livello degli anticorpi, e successivamente facendo ricorso alla biopsia. Nel caso delle malattie infiammatorie intestinali la diagnosi si basa su più tasselli di un puzzle che si mettono insieme: l’endoscopia e la colonscopia, con le relative biopsie, sono fondamentali, ma nemmeno questi esami sono sempre sufficienti per arrivare a una diagnosi. Per questo entra in gioco anche l’imaging che si basa su precise tecniche radiologiche, come l’ecografia intestinale e la risonanza magnetica. In aggiunta a questi anche gli esami di laboratorio posso aiutarci a identificare l’infiammazione in atto. È importante inoltre fare una diagnosi differenziale con altre patologie che spesso possono essere confuse o sovrapporsi. Un esempio: banalmente una infezione intestinale può portare diarrea e sangue senza che la diagnosi si traduca per forza nel Morbo di Crohn.
Quali sono le differenze tra le due malattie?
Innanzitutto la localizzazione: il Crohn può colpire dalla bocca a tutto l’apparato digerente, esofago, stomaco, intestino compresi. La rettocolite ulcerosa, lo dice la parola stessa, colpisce il colon e il retto. Poi le due patologie si differenziano anche per l’estensione oltre i primi strati della mucosa: la rettocolite è una malattia superficiale della mucosa intestinale, il Crohn si manifesta invece con delle ulcere che possono insinuarsi in profondità, fino a bucare l’intestino causando ascessi, fistole e stenosi. Il quadro clinico è totalmente diverso anche se, in alcuni casi, può esserci appunto una sovrapposizione delle malattie. Infatti si calcola che circa il 10-15% dei pazienti vada in contro a un cambio nella sua “etichetta” di diagnosi. É fondamentale per questo rivolgersi a Centri specializzati con team mutidisciplinari in grado di prendere in carico i pazienti a 360 gradi.
Come vengono trattate ? Quali farmaci vengono utilizzati?
Il modo in cui trattiamo i pazienti è cambiato totalmente negli ultimi anni, in passato prescrivevamo i cortisonici e gli immunosoppressori: ora questa tipologia di farmaci vengono meno utilizzati perché esistono diversi studi che dimostrano come le terapie avanzate, quindi i farmaci biologici, se somministrati subito, portano un grosso beneficio. In particolare, i farmaci biologici sono anticorpi monoclonali che bloccano un “interruttore” dell’infiammazione alla volta. Li utilizziamo contro molti bersagli, appunto uno per volta. Il secondo step per curare la malattia sono piccole molecole che bloccano più target allo stesso tempo. Altre strategie che possiamo mettere in atto sono quelle di influenzare il sistema immunitario, in particolare armiamo i globuli bianchi in modo che possano combattere le infiammazioni. Devo dire che è un periodo molto proficuo per la ricerca scientifica e, in particolare, molti studi fatti in laboratorio ci hanno dato importanti risultati che siamo poi riusciti a tradurre in clinica. C’è molta innovazione, per questo i pazienti possono guardare al futuro con più ottimismo.
Il suo è un centro di eccellenza: come nasce?
Da un sogno: la mia idea era quella di coniugare la ricerca scientifica con la clinica e l’Ospedale San Raffaele, che ha nella traslazionalità la sua vocazione, ovvero la capacità di trasformare i risultati degli studi in terapie per i pazienti, (si dice “dal bancone del laboratorio al letto del malato”), mi ha accolto e qui ho potuto mettere a frutto i miei studi e creare un team multidisciplinare di scienziati, medici (gastroenterologi, chirurghi, radiologi, anatomopatologi, ecc..) e infermieri, davvero preziosi, che accompagnano i pazienti lungo tutto il percorso di cura e il follow up. Ora siamo uno dei centri più attivi nella ricerca e nella sperimentazione, siamo uno dei dieci centri di riferimento per settare gli standard di cura di eccellenza per la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa.
Le cure sono ormai standardizzate un po’ ovunque, in Italia, o recarsi in un centro come il suo può fare la differenza?
Le cure in Italia sono di ottimo livello e le terapie approvate sono disponibili per tutti. É chiaro che in centri come quello del San Raffaele i pazienti possono accedere anche a protocolli sperimentali e quindi avere accesso a terapie non ancora commercializzate. Per esempio siamo stati tra i primi al mondo a utilizzare terapie avanzate, basate sull’utilizzo di anti TNF, anti-integrine, anti interleuchine, e degli inibitori di JAK. Siamo infatti tra i centri che hanno contribuito alla sperimentazione e allo sviluppo di questi farmaci e i nostri pazienti hanno potuto beneficiare direttamente di questi avanzamenti della ricerca. Se abbiamo potuto ottenere questi risultati e proseguire nella sperimentazione clinica è per gli alti standard a cui siamo abituati e soprattutto per la fiducia che i pazienti ripongono nei nostri confronti.
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