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February 20 2019
Le chiamano "malattie rare" perché riguardano pochi pazienti. E sono rare anche perché raramente pensiamo a chi ne è colpito. Non ci pensano le aziende farmaceutiche, che non investono in farmaci e terapie in malattie poco remunerative, dal loro punto di vista. E non ci pensiamo noi, perché i malati sono lontani dalle nostre vite, non li conosciamo, non ci imbattiamo quasi mai nelle loro storie.
Per questo è importante la Giornata delle Malattie rare, il 28 febbraio. Almeno in questo giorno dell’anno, ricordiamoci che esistono e che i malati, sia pure «pochi» non vanno trascurati. Secondo l’Oms, le malattie rare, almeno quelle note, sono circa 6 mila, con 25 milioni di malati in Europa, e 700 mila in Italia.
Tra le patologie rare ci sono, per esempio, 350 diversi tipi di immunodeficienze; una di queste è la WAS, sigla che sta per Wiskott-Aldrich Syndrome, provocata dall’alterazione di un solo gene. Colpisce meno di una persona su 100 mila (solo di sesso maschile) e nel tempo provoca gravi danni all’organismo.
Per sostenere la ricerca sulla Wiskott-Aldrich Syndrome e dare una speranza a chi ne è affetto è nata, alla fine del 2018, l’associazione senza fini di lucro LaSpes (dal latino «speranza»). Sul sito www.laspes.it troverete tutte le informazioni e le iniziative previste nel corso del 2019. Obiettivo è finanziare, con il 100 per cento del ricavato, la ricerca sulla WAS e destinare borse di studio per giovani ricercatori.
Ne parliamo con l’immunologa pediatra Maria Pia Cicalese, che fa parte del Comitato scientifico che individua i destinatari delle borse di studio (presieduto da Alessandro Aiuti, a capo dell’Unità di Immunoematologia Pediatrica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, specializzata nella cura di queste patologie).
Che cos’è esattamente la WAS?
È una immunodeficienza primitiva, causata dalla mutazione di un singolo gene. La proteina codificata da questo gene ha funzioni importatissime in tutte le cellule ma soprattutto in quelle del sangue, le cellule ematopoietiche. In genere si manifesta sin dall’infanzia e provoca gravi conseguenze.
Per esempio?
Chi ne è affetto ha un numero molto basso di piastrine, è in genere più soggetto ad infezioni, presenta eczema, e ha nella vita un maggior rischio di sviluppare patologie autoimmuni e tumori.
Perché avete deciso di sostenere soprattutto questa malattia?
Perché fino a poco fa l’unica terapia disponibile era il trapianto di midollo osseo allogenico, possibile solo in presenza di un donatore compatibile, idealmente un fratello. Inoltre il trapianto di midollo allogenico è molto rischioso. Mancava quindi per un’enorme fetta di pazienti affetti da WAS una strategia di cura efficace e sicura.
E questa nuova strategia, che LaSpes aiuta a realizzare, qual è?
La terapia genica, con la quale si può inserire una copia del gene sano all'interno delle cellule staminali ematopoietiche, facendo quindi in modo che le cellule del sangue vengano corrette e tornino alla loro normale funzionalità.
Nel concreto, come avviene la terapia sui malati?
Si prelevano le cellule staminali ematopoietiche del paziente. Queste vengono purificate e ingegnerizzate in laboratorio tramite un vettore virale che inserisce al loro interno una copia del gene sano. Le cellule così corrette sono poi reinfuse nel malato, in vena, dopo un ciclo di chemioterapia a ridotta intensità.
E basta farlo una sola volta?
Sì, questa terapia si effettua una sola volta nella vita.
Che risultati avete avuto finora?
I primi casi li abbiamo trattati nel 2010, quindi abbiamo un follow-up abbastanza lungo. In totale abbiamo ad oggi trattato 16 pazienti, bambini molto piccoli, ma anche adulti. Le loro piastrine, che erano molto basse, sono aumentate e si sono stabilizzate. Di conseguenza si sono ridotti anche gli episodi di sanguinamento. Il sistema immunitario ha ripreso a funzionare, e hanno meno infezioni severe. Insomma, oggi quei pazienti vivono una vita normale.
La terapia genica è una strategia sempre percorribile nelle malattie rare, almeno come principio?
Per ora l’approccio con la terapia genica sull'uomo è possibile solo in alcune malattie rare, e per alcune altre si sta lavorando perché l'approccio arrivi al letto del paziente. Questo perché è una strada che richiede moltissimo studio sui meccanismi della malattia e poi sperimentazioni su modelli animali prima di dare forma ad una vera e propria terapia. E proprio per questo è fondamentale aiutare e sostenere la ricerca.