Calcio
June 05 2023
Paolo Maldini e il Milan sono qualche passo più distanti di quanto non lasci intendere l'esistenza di un contratto che lega il massimo dirigente dell'area tecnica al club ancora per un anno. Non è detto che siano destinati a lasciarsi subito, ma non è escluso. E, soprattutto, è impossibile immaginare che possano andare avanti ancora a lungo in un clima di divergenze, tensioni e incomprensioni che si trascina ormai da un paio di stagioni e che nemmeno lo scudetto vinto nel maggio scorso è stato in grado di nascondere.
Un anno fa Maldini fu davvero a un passo dal dire addio alla società, salvo poi trovare un faticoso accordo in extremis e cominciare a lavorare sul mercato dalla fine di giugno. Ora lo scenario si sta ripetendo con l'unica variabile di un contratto che non va scritto ma che esiste e che, ad oggi, è l'unico punto fermo della vicenda. Intorno a questo tassello, una serie di problemi finiti sul tavolo dell'incontro con la proprietà di Gerry Cardinale che doveva servire per tracciare il bilancio della stagione e fare i programmi per il 2023/2024.
Non è andata bene, raccontano i rumors da Casa Milan. Anzi, è andata male tanto da far deflagrare la questione apertamente riportando indietro di un anno le lancette del tempo. Impossibile sorprendersi. In fondo bastavano le parole pronunciate a caldo da Maldini nella notte dell'eliminazione dalla Champions League per mano dell'Inter per capire come lui e Cardinale parlassero due lingue differenti. Aveva chiesto, rivendicato e quasi preteso investimenti per crescere. Aveva addossato alla proprietà la paternità della scelta di mercato più contestata, prendere De Ketelaere e lasciar andare a Roma Dybala. Aveva definito la rosa consegnata a Stefano Pioli non strutturata per competere su più fronti e spiegato il legame tra questa situazione e le strategie complessive delle "due proprietà", legando con un filo temporale Elliott e RedBird.
Era stato, il suo, un vero e proprio processo al Milan che non era rimasto senza conseguenze. La proprietà non aveva gradito sia il contenuto che la forma, dal momento che Maldini parlava da osservatore esterno pur essendo un tassello importate del sistema che lui stesso giudicava su pubblica piazza. Da qui la sensazione, mai smentita, che i problemi stagionali sarebbero stati motivo di discussione con il numero uno dell'area tecnica più che con l'allenatore: Stefano Pioli ha sempre goduto della massima fiducia da parte degli uomini di Gerry Cardinale, anche nei momenti più bui del campionato.
Ora che le bocce si sono fermate, semplicemente si è ripartiti da qui: la proprietà Milan ritiene numeri alla mano che gli investimenti siano stati fatti, ricorda come la scorsa estate siano stati dati oltre 50 milioni di euro senza chiedere nulla in cessioni e che Maldini abbia goduto di totale autonomia come da richiesta. Dunque, se De Ketelaere, Origi, Vranks, Dest e Adli non hanno dato nulla in termini di apporto a Pioli la colpa non può che essere di chi li ha scelti. E che chi li ha scelti, cioè Maldini, deve per forza conoscere e condividere la politica societaria evitando di metterla ciclicamente in discussione pubblica andando a suscitare le reazioni dei tifosi.
A San Siro nell'ultima notte di campionato, quella della festa per l'addio di Zlatan Ibrahimovic, per la prima volta la Curva Sud ha esposto uno striscione chiedendo espressamente denaro per fare il salto di qualità. Maldini la pensa allo stesso modo. Cardinale e i suoi non inseguono l'idea di un Milan che resti lontano dalla competitività, ma non amano avere l'opposizione in casa. Il nodo del tormentato rapporto è tutto qui: forma e sostanza. Non è detto che l'estate 2023 sia quella dello strappo ma sarebbe sorprendente che un'eventuale pace potesse andare molto oltre la scadenza del contratto tra dodici mesi.