Le verità di Maldini sugli errori del Milan

Che a Casa Milan ci fossero fazioni e frizioni si era capito anche prima del 5 giugno 2023, il giorno del licenziamento - così va chiamata la rimozione decisa e comunicata da Gerry Cardinale - di Paolo Maldini e Ricky Massara. La lunga intervista che l'ex direttore dell'area tecnica rossonera ha rilasciato a Repubblica sei mesi dopo quella data, però, alza il velo su vizi (molti) e virtù (pochi) di un club oggi già in difficoltà per la mancanza di risultati sportivi e per l'affannosa ricerca di correttivi per rendere più funzionale una struttura societaria disegnata quel 5 giugno ma dimostratasi alla prova dei fatti non completa.

Maldini non risparmia nessuno. Attacca Cardinale, accusato di aver chiesto fiducia reciproca e poi di aver deciso da mesi il suo siluramento senza confrontarsi. Ripercorre le frizioni con Gazidis, sposta su Furlani il peso di cattivi rapporti di cui dice di non essersi mai lamentato, bolla Scaroni come opportunista in cerca di visibilità ma poco disposto a spendersi per il Milan nei momenti di difficoltà.

Accusato di essere stato individualista nelle scelte e di aver sbagliato quella di De Ketelaere, il cigno nero dell'estate post scudetto, mette in fila i numeri del suo lavoro: quelli sportivi, l'aumento del valore della rosa e il taglio delle spese con anche una punta velenosa nel rimarcare che anche Leao, Theo Hernandez e Bennacer "non piacevano" prima che il percorso di crescita li portasse a essere asset importanti per squadra e società.

Insomma, un affondo senza freni che certamente non aiuterà il Milan in un passaggio storico complicatissimo ma che ha il pregio della chiarezza e aggiunge agli occhi dei tifosi alcuni tasselli importanti. Quello che si può dire è che, letta la verità di Maldini, si comprende come non ci fossero le condizioni perché il rapporto proseguisse ma anche che alcune mancanze che oggi pesano sul rendimento della squadra abbiano origine e radice nella visione della proprietà, orientata al business e alla sostenibilità finanziaria quanto e più rispetto all'area sportiva.

Secondo: alcune figure dirigenziali citate da Maldini c'erano prima e ci sono adesso. Se il Milan di prima ha fatto risultati e quello di oggi fatica è evidente che può esserci qualche limite di competenza ed esperienza. Comprensibile, salvo che senza riscontri in campo anche i ricavi soffrono e il progetto rischia di rallentare invece di accelerare.

Terzo: Maldini svela che Cardinale gli aveva chiesto di vincere la Champions League e lui aveva cominciato a lavorare a un piano triennale mai nemmeno preso in considerazione. La pretesa di alzare al cielo il trofeo più difficile, ricco e competitivo al mondo è illogica per un club non disposto a investire per anni, anche a perdere, budget da centinaia di milioni di euro anche solo per provarci. Vale per il Milan di Maldini e vale per adesso.

Quarto: Maldini si difende dall'accusa di essere un individualista, ma in alcuni passaggi svela dettagli in cui conferma di aver esondato dal proprio ruolo. Ad esempio sulla questione stadio: racconta che non avrebbe potuto mettere la sua faccia su un progetto da 55-60mila posti "nella maggior parte corporate" facendo finta di dimenticare che un'operazione da oltre un miliardo di euro non è sua competenza e non può essere affossata dall'interno.

In ogni caso, le sue parole provocheranno più di un mal di pancia in un ambiente alle prese con una crisi tecnica e di leadership che stanno condizionando in negativo la stagione. Sarà un banco di prova anche per il club: se è forte ne saprà uscire, altrimenti ne sarà schiacciato. Il futuro di Maldini è fuori dall'Italia e ad oggi è impossibile immaginare un suo terzo rientro in rossonero. Il tempo dirà se avrà avuto ragione Cardinale o se sarebbe stato meglio continuare ad affidarsi a Paolo.

TUTTE LE NOTIZIE DI CALCIO SU PANORAMA

YOU MAY ALSO LIKE