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November 15 2018
La natura pone limiti, l’uomo tende a superarli. Questo è normale. Si chiama progresso. Ma ci sono limiti della natura di fronte ai quali è necessario riflettere, limiti oltre i quali si entra in quel territorio che gli antichi greci avevano teorizzato e guardato con saggezza e terrore. Il territorio della sconfinata ambizione umana che è la matrice “tecnica” dell’antica tragedia: la hybris, la superbia umana. Nella superbia c’è un elemento di eroismo che guarda avanti, ma anche il seme di una umana tracotanza, di un eccesso che i Greci guardavano come una colpa non solo meritevole ma generatore di una punizione divina. Anche perché la natura non pone mai limiti a caso.
Una lunga premessa per dire che la vicenda di quella infermiera del San Giovanni di Roma andata in Albania a comprare un embrione e farselo impiantare, che poi ha partorito nel “suo” ospedale alla più che rispettabile età di 62 anni, è una storia emblematica e presenta luci e ombre: un aspetto di umana “superbia” e un altro di avanguardia di un fenomeno che in un futuro diventato presente è destinato a diffondersi. Anche Icaro che si schiantò nel suo volo di sfida alla gravità, è visto oggi come il mitico precursore di una potenzialità umana. Prometeo è un eroe. Oggi è la scienza, con i suoi mirabolanti progressi tecnologici e con gli strumenti che mette a disposizione, a sostituire il vasto respiro del mito. Ecco la domanda: è lecito, etico e giusto superare con l’apporto della scienza quel limite che la natura ha delineato anche per la maternità? Oppure l’aspirazione alla maternità non deve avere limiti, né di età né di condizione anagrafica?
L’infermiera del San Giovanni non solo ha 62 anni, è anche single, si trova perciò in una condizione che senza il viaggio in Albania sarebbe stata non solo impossibile ma non permessa, in Italia, a Roma. E considerando che la bimba felicemente partorita nasce però con l’impossibilità di conoscere e vivere con suo padre, quindi figlia unica di madre single ultrasessantenne già in partenza, il dilemma è se questo sia ammissibile. Se l’aspirazione alla maternità senza limiti non sia un sottile forma di egoismo che non considera in alcun modo la necessità di crescere un figlio naturalmente all’interno di una famiglia, con la prospettiva di molti anni davanti da vivere con i genitori. Ammetto di non avere una risposta facile.
La vita riserva naturalmente tragedie e non necessariamente lo è l’esser nata quella bimba già senza padre, con una madre che avrà 80 anni il giorno del suo diciottesimo compleanno. C’è di ben peggio però, come nascere da una coppia violenta, alcolizzata, tossicodipendente, o in una condizione di estrema povertà e degrado sociale… Ormai dobbiamo considerare “naturale” la nascita di questa bimba, che è frutto delle nozze tra l’amore materno e il progresso scientifico. Quella madre e quella bimba si vorranno infinitamente bene come ogni figlio e ogni madre e forse di più. E avranno il rammarico di non poter vivere insieme ancora più anni di quelli che permetterà l’orologio biologico. Ma la durata di quest’amore non è prevedibile, e non è necessariamente inferiore a quella di altri figli in cui la differenza d’età alla nascita col padre, o con la stessa madre, è solo una variabile fra tante. La realtà è che alla base di tutto c’è una scelta. E la scelta di una donna che vuole assolutamente avere un figlio non rientra nella sfera della superbia egoista, ma in quella dell’amor materno. Che per natura non conosce limiti.