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December 30 2019
L’argomento è di quelli che, se lo lanci in una qualsiasi conversazione, crea scompiglio. Basta annunciare che una amica/collega/vicina di casa ha partorito a 52 anni per suscitare reazioni assortite. Chi ammira i progressi della scienza «che oggi fa miracoli», chi esprime pareri tranchant «una scelta da fanatiche, è un’età da nonne», chi sospende il giudizio, indeciso se congratularsi per l’evento o esprimere una velata perplessità.
E noi, perché affrontiamo il tema? Lo spunto ci viene da uno studio pubblicato sul Journal of Women’s Health, scritto da un gruppo di medici di varie università americane, dal titolo Do magazines exaggerate fertility at advanced age? («Le riviste esagerano la fertilità a un’età avanzata?»). La risposta è sì, decisamente. Gli esperti hanno analizzato 416 numeri di newsmagazine femminili (dal 2000) in cui venivano descritte gravidanze e neo maternità di 240 celebrities, un terzo delle quali dai 40 ai 50 anni.
Racconti con abbondanza di fotografie e interviste, «ma solo in due casi vengono citati rischi di complicazioni associati alla maternità in un’età avanzata» scrivono gli autori «solo in tre si dichiara di aver fatto ricorso alla fecondazione in vitro, e non viene mai menzionata la donazione di gameti», ossia di ovociti e seme maschile. Molti dei titoli citati hanno toni di spensierato entusiasmo: «My baby dream come true!»; di categorica asserzione: «Age is just a number!»; o di gioioso elenco di trionfali maternità: «25 stars who gave birth after 40».
Gli autori dello studio, ovviamente, non vivono sulla luna. Sanno perfettamente che oggi una serie di ragioni sociali ed economiche spingono sempre più donne a ritardare la maternità dopo i 40 anni. Fenomeno talmente diffuso che pochi ormai se ne stupiscono. «La spiegazione per questo trend nel procastinare i figli è multifattoriale, può essere attribuito a un investimento nei traguardi professionali, nei matrimoni tardivi, nel raggiungimento di una stabilità finanziaria prima di concepire» scrivono. Primipare attempate, si diceva una volta per indicare le donne incinte dopo i 25 anni, soglia e definizione che oggi fanno francamente sorridere. Ora si preferisce dire mamme «grandi», eufemismo gentile per le madri in zona menopausa.
Peccato che questa rivoluzione sociale proceda di pari passo con un declino nella fecondità e un aumento dei rischi legati alle gravidanze «agée». La cultura si modifica, ma la biologia tiene il punto. La fertilità, nella donna, raggiunge il culmine tra i 15 e i 30 anni, poi cala. La riserva ovarica, ossia la sua «dote» di follicoli e uova, è stabilita alla nascita e diminuisce con l’età. La perdita di follicoli si fa veloce già a 32 anni e accelera dopo i 37. Persino in una coppia senza problemi di fertilità, una 40enne ha una probabilità mensile di restare incinta inferiore al 10 per cento (a 25 anni è del 25 per cento). Ma i media, afferma lo studio americano, troppo spesso sottovalutano l’impatto degli anni sulla fecondità, sorvolano sulle difficoltà di portare a termine la gravidanza e sul rischio di complicanze. Tutto è bello, semplice, naturale, a lieto fine. Esigenze giornalistiche (siamo i primi a capirle). Il problema è che, così facendo, si diffonde l’idea che avere un figlio quando si avvicinano, e talvolta si superano, i 50 anni, è solo una questione di scelta personale. Lo vuoi? Si fa. Che ci vuole. Pericoli? Mannò, mica stiamo a gufare... Così però si fa disinformazione, conclude il Journal of Women’s Health.
A dettare la linea per i bebé concepiti dopo il mezzo secolo sono soprattutto le donne famose. Giusto per fare qualche esempio: a 54 anni Brigitte Nielsen è diventata mamma per la quarta volta; Heather Parisi ha partorito a 50 anni, Gianna Nannini a 56, Carmen Russo a 53. Donne in forma, con tempo e possibilità economiche.«I mezzi di comunicazione presentano testimonianze di star senza soffermarsi sui dettagli del percorso clinico e gli eventuali problemi medici insorti nel corso della gestazione o prima del concepimento» riflette Chiara Benedetto, direttore della Struttura Complessa universitaria di Ginecologia e ostetricia 1 dell’Ospedale Sant’Anna di Torino. «Il Journal of Women’s Health evidenzia come raramente si faccia riferimento al fatto che le gravidanze in età avanzata vengono quasi sempre ottenute con tecniche di medicina della riproduzione, talvolta con ovociti e spermatozoi provenienti da donatori, e si associno all’aumento del rischio di complicanze. Ho dedicato la mia vita professionale alla salute delle donne e mi preoccupa molto che passi un messaggio esclusivamente puntato sugli aspetti “rosei” della maternità in età avanzata» continua Benedetto. «L’informazione corretta è che non si dovrebbe aspettare le soglie della menopausa, soprattutto se si tratta del primo figlio. Nei reparti di ostetricia vediamo sempre più spesso complicanze e patologie dovute a questo fenomeno».
Lo studio citato all’inizio non è l’unico, solo il più recente. Negli ultimi anni, nelle riviste mediche si sono moltiplicati gli editoriali che affrontano il problema. Nel 2015, Fertility and Sterility rifletteva come «il ritratto spesso dipinto dai mezzi di comunicazione, di una donna giovanile ma non più giovane, che programma abilmente carriera e esigenze riproduttive, ha alimentato il mito del “puoi avere tutto”,senza fare cenno alle difficoltà di una maternità troppo rimandata». Ma i 40 anni, concludeva l’articolo, non sono i nuovi 20.
Allo stesso modo i 50 non sono «i nuovi 30», benché sia bello dirlo (e crederci un po’). E non è vero, altro falso mito, che l’età in fondo è solo un numero. Certo, è possibile fare un figlio anche se si compie mezzo secolo, e persino a 60 o 70 anni, come è successo talvolta. Ma non è un caso che siano gli stessi esperti a scoraggiare sfide spericolate con l’età.
«Qualsiasi gravidanza» precisa Benedetto, che negli ultimi 10 anni nel suo ospedale ha osservato un aumento esponenziale di mamme oltre i 40 «è uno stress test per l’organismo, anche quello giovane e sano, che va incontro a una serie di adattamenti che coinvolgono il sistema cardiocircolatorio, il sistema respiratorio, le ghiandole endocrine e il sistema metabolico. Non è raro che patologie latenti, che tali sarebbero rimaste in condizioni di non stress, emergano in quei nove mesi. Più si va avanti col tempo, più questi sistemi di adattamento possono incepparsi».
Del resto, a livello nazionale, le neomamme over 40secondo l’Istat sono ormai l’8 per cento circa del totale, e sono destinate ad aumentare. Assistite dal Servizio sanitario nazionale se hanno meno di 46 anni, altrimenti dalle strutture private, il cui limite per la fecondazione artificiale arriva fino ai 50. Dopo, si va all’estero, in genere Spagna o Stati Uniti, dove anche l’utero in affitto è un’opzione percorribile.
Le mamme «grandi», dicono gli esperti che le seguono, sono molto motivate, bravissime a seguire tutti i consigli medici e pronte a sottoporsi a controlli ravvicinati e approfonditi. Ma sottostimano il contesto. La mortalità materna, dopo i 45 anni, è dieci volte superiore a quella con meno di 35 anni. E aumentano gli «eventi avversi» in gravidanza: necessità di trasfusioni, rischio di obesità, diabete gestazionale, ipertensione, trombosi venosa, parti prematuri, aborti, anomalie genetiche dell’embrione, complicanze post parto.
Infine, poche sanno che la maternità dopo i 35 anni aumenta l’eventualità di tumore al seno. «Dopo quell’età cambiano le caratteristiche della ghiandola mammaria» spiega Benedetto. «E la sua stimolazione in gravidanza causa un rimodellamento che spesso non è accompagnato dalla sostituzione delle cellule che con il tempo hanno accumulato danni al Dna. Questo può far salire, negli anni successivi, il rischio di cancro, un rischio superiore rispetto a chi di figli non ne ha mai avuti».
Carlo Bulletti, docente di ginecologia, ostetricia e scienza della riproduzione, a Cattolica (Rimini) dirige il centro Entra Omnes, specializzato in medicina della riproduzione. «Una donna ha il diritto di chiedere una gravidanza fino a quando le viene concesso» premette «purché venga informata in modo veritiero. Invece assistiamo alla scienza dei trionfi, tutti si mettono in coda per farsi dire ciò che vogliono sentire». Un altro messaggio che passa poco è che se si vuole un figlio in modo naturale bisogna iniziare a pensarci prima dei 31 anni; se i bambini sognati sono due l’età deve scendere a 28 anni, e fino a 23 se poi di figli se ne progettanno tre. «È una premessa doverosa e indispensabile, ma sovente taciuta» continua Bulletti.
Molti centri privati di riproduzione assistita sbandierano percentuali di successo assai ottimistiche: intorno al 50 per cento nel caso di un’aspirante madre vicina ai 40 anni (alla terza inseminazione con seme di donatore) e del 24 per cento superati gli «anta». Ma uno studio del British medical Journal ridimensiona queste cifre: la possibilità di avere un bambino sano per ogni ciclo di fecondazione assistita è del 10 per cento a 40 anni, scende al 5 a 42 anni, fino a crollare all’1-2 per cento dopo i 45 anni. «In Italia e in tutta Europa, tranne che in Inghilterra, si danno numeri e si fanno promesse poco coerenti con la realtà, speculando sul desiderio delle coppie che, volendo un bambino, vanno da chi promette percentuali gonfiate» denuncia Bulletti.
La Gran Bretagna fa eccezione, aggiunge il ginecologo, perché lì esistono Registri che, attraverso la loro autorità di controllo, possono verificare i risultati esibiti dai vari centri, e sanzionare se gli esiti finali non sono conformi a quanto dichiarato. E, guarda caso, le percentuali di successo inglesi, nella riproduzione assistita, sono quattro volte inferiori a quelli europei (e italiani). «Per questo, entro l’estate chiederemo al Comitato nazionale di bioetica di valutare se le modalità di promozione dei centri non dichiarino risultati non corroborati dai fatti, lucrando sulla fragilità emotive delle coppie» annuncia Bulletti. «Nella mia struttura, un terzo dei trattamenti viene richiesto da donne tra i 40 e i 50 anni. Ma a quell’età anche la migliore macchina mostra l’usura del tempo, e già dieci anni prima della menopausa si inizia a perdere la possibilità di procreare».
Insomma, conviene sbrigarsi prima dei 40 anni. Ma, come si diceva, occorre avere pure una stabilità economica, essere nella situazione di non dover scegliere fra carriera e culla. E, soprattutto, avere un compagno con cui progettare una famiglia, cosa per niente scontata. Tutti motivi che spingono verso un’ulteriore scelta: congelare i propri ovociti. Così la mamma sarà anche agée, ma i suoi ovociti saranno rimasti belli, sani e vitali.
Una decisione, questa, che tempo fa riguardava soprattutto giovani malate di tumore o con endometriosi. Ma che ora viene presa anche da donne perfettamente sane che decidono di mettere in freezer, per così dire, le proprie uova. Al Fertility center dell’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) congelano gli ovociti per future maternità. Funziona così: con ormoni di sintesi si stimola la crescita follicolare per ottenere, ogni mese, una produzione multipla di ovociti. Il giorno del prelievo, che avviene in sala operatoria sotto guida ecografica, si aspirano i follicoli e si estraggono le cellule uovo subito congelate. Pronte a essere reimpiantate nell’utero, magari dopo anni.
«Si tratta in genere di donne vicino ai 40 anni, senza un compagno, nelle quali scatta un meccanismo di preservazione della propria fertilità» racconta Alessandro Bulfoni, responsabile di Ginecologia e ostetricia all’Humanitas San Pio X di Milano. «Nella mia esperienza, a livello ambulatoriale, la richiesta di congelamento di ovociti è triplicata o quadruplicata rispetto a 10 anni fa». Il tasso di successo di questa tecnica è inferiore al 20 per cento, spiega Bulfoni, leggermente meno rispetto agli ovociti freschi. «Anche perché se un ovocita di 35 anni viene impiantato in un utero di 45, molto dipende dalle condizioni di quell’utero, che con il crescere dell’età può subire un peggioramento o sviluppare patologie che compromettono il successo».
Probabilmente nulla fermerà le donne che, passato il mezzo secolo, sentiranno un’improvvisa voglia di bebé. Terminicome «impossibile» e «innaturale», del resto, appaiono oggi sempre più svuotati di significato. Una mamma di 60 anni ne avrà 80 quando il figlio sarà uscito dall’adolescenza? Non importa, la medicina dell’avvenire troverà il modo di garantirle forma fisica, energie di riserva e apparenza giovanilistica.
Ciò che sta facendo la cosiddetta scienza anti-aging, a essere onesti, è prolungare non la giovinezza bensì l’ultima parte dell’esistenza, con tuttii problemi cronici e gli acciacchi della vecchiaia. Ma questo è un messaggio fastidioso, che nessuno vuole sentire.
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