Lifestyle
April 21 2023
È pop, facile da leggere e interpretare, con le sue idee accessibili e quel bianco che la fa da padrone in gran parte della sua produzione, «perché il bianco è il colore che meglio lavora con la luce». A dichiararlo uno dei protagonisti della settimana del design, Marcantonio Raimondi Malerba, che a Milano arriva, tra le altre cose, con una finestra… di luce by Seletti.
Parliamo di utilità. Cosa è utile di quello che fa?
C’è l’utilità, non è stravolta. Una lampada fa luce, una seduta è comoda, però c’è differenza tra comodo e confortevole. Il corpo su una sedia ergonomica è comodo ma se quella sedia è in grado di emozionarti o stimolare un immaginario, una poetica, strapparti un sorriso, sei comoda anche con la mente. Sei "confortata", ed è questa la funzione di cui abbiamo più bisogno. La tecnologia è andata ben oltre le nostre necessità, ecco perché poi si cercano le emozioni.
Semplice. Perché non ci ho pensato? Eppure, non ci ho pensato!
La cosa più difficile è fare qualcosa di nuovo, che attiri l’attenzione con un oggetto comune, che abbia una sua memoria. È un processo quasi dadaista, surrealista: uso oggetti che tutti conoscono ma in modo diverso, estendendo in qualche modo la loro vita. Quella semplicità è molto complessa e la perseguo, facendo in modo che la memoria che tu hai di quell’oggetto sia stravolta dall’ironia.
Window Lamp, la finestra di luce è il progetto che ha presentato quest’anno al Fuorisalone con Seletti.
È un oggetto incredibilmente pop che tutti conoscono. Ci dà accesso all’esterno, è divertente e mi piaceva poggiarci sopra l’attenzione. Da piccoli le finestre erano gli occhi delle case, la bocca era la porta. Sono partito da lì.
Negli ultimi anni non ha sbagliato un colpo. Non ha mai paura che il fuoco si spenga?
Tantissima, ed è una lama a doppio taglio. Non arriverò mai al punto in cui penserò di avercela fatta. Non credo che il talento sia essere in grado di fare bene le cose o avere belle idee. Semmai, voglio essere in grado di trovare ancor un’altra idea, e questo nasce solo dalla paura di non essere più in grado di farlo.
C’è l’arte e c’è il design. Cosa cambia nel processo creativo?
La differenza è lo scenario in cui viene presentato l’oggetto. Nel mondo dell’arte si sta attenti a presentare un lavoro con i crismi necessari a far sì che sia visto con le risorse più alte a disposizione. Quando ci mettiamo di fronte a un’opera d’arte dobbiamo utilizzare tutto ciò che dentro di noi è a disposizione, ogni estetica, ogni reticenza poetica per capire cosa stiamo osservando. Nel migliore dei casi si dovrebbe creare un nuovo linguaggio, una nuova sensibilità. È una cosa molto alta, intellettualmente parlando.
Il design ha una funzione, spesso viene venduto come oggetto casalingo in dei negozi. C’è il design solo funzionale e magari poco emozionale e poi quello che sconfina nell’arte, venduto in gallerie e con una ricerca artistica sperimentale.
Per quanto mi riguarda il processo creativo non cambia: la ricerca, lo stupore, l’immaginario, la soddisfazione che provo quando penso di avere una buona idea è uguale. Ho portato nel mondo del design la scultura in modo manuale, lo stampo da laboratorio, il riferimento classico. Love in bloom di Seletti è un vaso a forma di cuore, inteso come organo umano: l’idea del fiore che lo metti nelle vene è diversa da un fiore dentro un vaso. Oggi il design ha bisogno di una componente artistica, perché il mercato è saturo di oggetti e se non aggiungi l’emozione non hai voce in capitolo.
Cambia decisamente però il prezzo del design, rispetto all’arte.
Se uno fa un’opera d’arte deve piacere al suo curatore, quell’idea deve avere una sorta di pedigree, ci sono pochi numeri. Quell’opera la comprerà un collezionista quando il nome dell’artista diventerà una promessa. Il prezzo dell’arte non è il prezzo del design. Ci sono migliaia di persone che comprano un oggetto a un prezzo accessibile perché gli piace l’oggetto e magari non sanno neanche chi lo ha fatto. Il mio è spesso un design illustrativo. Era guardato con sospetto dagli accademici, ora i numeri parlano chiaro come la mia identità ben riconoscibile.
Che vuol dire essere un artista, un creativo, un designer. Oggi. Con la pandemia dietro l’angolo, la crisi energetica, il cambiamento climatico, la guerra. La minaccia nucleare. Come se ne esce?
La stessa domanda si potrebbe fare sostituendo la parola designer con giornalista, imprenditore, architetto. Ci sono delle categorie più sicure, il medico forse, ma anche lui ha un sacco di somatizzazioni in più. Sono tante le cose da considerare, spesso mi chiedo se ha senso continuare a disegnare oggetti pensando a dove il mondo sta andando, alla guerra che è alle porte. Nello stesso momento in cui penso che sia sciocco parlare di bellezza mi rendo conto che la ricerca della bellezza è una delle poche cose che ci può aiutare a capire chi siamo e che cosa vogliamo. Mi faccio forte di questo ragionamento e lo uso nei momenti in cui sono aggredito da tutte le cose di cui ci dovremmo far carico. La rivoluzione la fa ogni singolo individuo ma è difficile individualmente, ogni giorno, assumersi le responsabilità dei danni che abbiamo fatto tutti insieme. Faccio il mio lavoro cercando il sogno, l’estetica e la poetica, dove è possibile utilizziamo prodotti sostenibili, riciclati, nel packaging più carta e meno polistirolo ma la tematica è complessa.
Come si sceglie un brand a cui dare la propria creatività come nel tuo caso con Seletti? Chi sceglie chi?
Nasce per caso, per una ricerca. A Seletti proposi Sending Animals, un progetto di casse a forma di animali, contenitori nati per portarti anche a riflettere sulla condizione degli animali. Volevo presentare quest’idea a un’azienda italiana, volevo giocare in casa e Seletti mi sembrava abbastanza sperimentale.
Come nasce l’artista che è oggi?
Alla nascita. Non ho memoria di un periodo della mia vita in cui non smontassi e rimontassi o volessi vedere le cose da un altro punto di vista. Eterno insoddisfatto o visionario sin da piccolo. Arrivavo a degli estremi: scucivo le scarpe, ne ricucivo pezzi su un'altra scarpa, mescolavo oggetti, vestiti, giochi, copertine di libri, cambiavo colore alle matite.
Non avrebbe potuto fare altro?
La ricerca della bellezza ha un’azione terapeutica, quell’eccitamento che senti nel cambiare le cose o nel realizzare un oggetto che prima non esisteva e dopo sì, ha a che fare con qualcosa di atavico, primordiale. Qualcosa che non riesco a razionalizzare.
Salone e Fuori Salone. Di qua e di là.
Quando un progetto viene presentato vuol dire che ci stiamo lavorando su da almeno un anno. Quest’anno si è tornati al vero Salone del Mobile, quello pre-Covid. Ho presentato dei progetti con Seletti, Natuzzi, Horm, Qeeboo, Unitedpets, Multiforme.
Spazi. Come si illuminano? Da dove si inizia a pensare la luce?
Non nascondo l’oggetto, se dovessi pensare a uno spazio ragionerei con una luce invisibile, ambientale, che viene dall’alto. Ho riempito casa mia di oggetti che mi piacevano, alcuni fanno luce dall’alto, alcuni a parete, alcune sono lampade d’appoggio. Il tutto crea la giusta atmosfera: rispetto ad una casa progettata dall’inizio alla fine, preferisco una casa che si riempie nel tempo di memorie. Compri quel vaso che hai incontrato in un viaggio, compri un oggetto che ti colpisce, una lampada che ti ricorda qualcosa e staranno bene per forza insieme perché tu le apprezzi e per te hanno un senso. Se tutto è costruito mentalmente vivi dentro l’idea di qualcun altro.
Il suo mondo è principalmente bianco. Perché?
Credo che evocare sia meglio di rappresentare. Sono già abbastanza dettagliato, se gli oggetti avessero colori, informazioni cromatiche per me sarebbero meno ideali. Quando immaginiamo una cosa, una forma la immagino bianca, pulita, luminosa, onirica. Il bianco è il colore che meglio lavora con la luce e i particolari. Puoi riempire una casa di oggetti bianchi senza che risultino pesanti. Quando frequentavo l’Accademia delle belle Arti, la gipsoteca da ogni angolo era bellissima, era piena di gessi, grandi, piccoli, mani, piedi, busti. Se gli stessi oggetti avessero avuto informazioni cromatiche sarebbe stato un caos.
Parliamo di materiali.
Il legno e la creta. Il legno è fantastico per fare strutture, tavoli, sedie. Ha un profumo incredibile, più si rovina più è bello. È veloce da lavorare, è resistente, elastico. Come malleabilità la creta, che amo per via della scultura. Oggi lavoriamo tanto con la scansione, la stampa 3D, con la modellazione digitale. Mi piace la fluidità dei processi, un file deve poter essere modificato, stampato, ingrandito.
Cosa vuole fare da grande?
Il creativo stando attento alla parola “grande”. La vita è una e va vissuta in modo equilibrato dando spazio agli aspetti personali e ai piaceri semplici. Finalmente inizio a essere un po’ distaccato dal lavoro, prima passavo i miei fine settimana sui progetti. Sai, la passione è un po’ patologica! È bello andare al mare, divertirsi, rilassarsi ma io non me lo sono mai concesso. Certo la scelta fatta ha portato a dei risultati però anche vivere non sarebbe male. Adesso sto investendo sullo studio in Romagna, ho più persone che collaborano con me. Nel mentre tutti i giorni faccio giardinaggio, per far sì che il lavoro non prenda il sopravvento sulla mente.