Marilyn Monroe diva grazie (anche) al suo autismo

Nessuno aveva mai avanzato l’ipotesi che Marilyn Monroe sia diventata un’intramontabile icona mondiale non tanto (o non solo) per il suo fascino, ma a causa del suo "assetto psicologico": un autismo di base.

Secondo questa teoria, Norma Gean sarebbe stata affetta da una patologia che, nel corso della vita, ha decretato anche la sua rovina, innescando un percorso morboso e insieme inarrestabile, almeno utilizzando le armi che erano disponibili nei primissimi anni Sessanta.

La bella Marilyn

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4. Marilyn Monroe

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Elisabetta II e Marilyn Monroe al Royal Film Show di Londra nell' ottobre 1956

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Galleria civica di Modena
Leigh Wiener, Marilyn Monroe, 1958

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Eve Arnold /Collection Rijksmuseum
Marilyn Monroe ritratta sul set del film "The Misfits", 1960. Foto di Eve Arnold (1912-2012). Stampa in gelatina d'argento.

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Collezione George Eastman House Photo by Nickolas Muray, © Nickolas Muray Photo Archives
Nickolas Muray, Marilyn Monroe, 1952 circa

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Lauren Bacall con Marilyn Monroe nel 1954


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Marilyn, 1962


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Marilyn sul set di "Quando la moglie è in vacanza", 1954


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Gli spostati (1961), diretto da John Huston, è l'ultimo film completo girato da Marilyn Monroe.
Con lei nel cast Clark Gable, Montgomery Clift, Eli Wallach e Thelma Ritter.
La sceneggiatura fu scritta dal marito Arthur Miller come regalo di San Valentino per Marilyn, a cui assegnò una parte appassionata e sensibile, nei panni della bella e ingenua Roslyn Taber.
Marilyn durante le riprese snervò tutta la troupe arrivando cronicamente in ritardo.
Anche per Gable, che era quello più innervosito da tale comportamento, fu l'ultimo film: morì per infarto appena finito di girare la pellicola.


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Marylin Monroe nel 1955


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Marilyn Monroe sul set di "A qualcuno piace caldo" (1959)

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Marilyn Monroe


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Marilyn Monroe, la sua voce è considerata tra le più sexy di sempre (Credits: Gettyimages)

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Chanel

Marilyn Monroe nel 1955: rese celebre la fragranza affermando di dormire solo "vestita" di due gocce del N°5


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Marilyn Monroe


A lanciare la teoria sono due psichiatri della "scuola pisana", Lilliana Dell'Osso e Riccardo Dalle Luche, nel saggio L'altra Marilyn: psichiatria e psicoanalisi di un cold case (Le lettere editore, 292 pagine, 21 euro).

Il libro, che non per nulla ha in copertina una delle famose, splendide foto scattate nel 1962 da Bert Stern e che furono rifiutate dall'attrice, prende le mosse dalla minuziosa ricostruzione della psicopatologia autodistruttiva di Norma/Marilyn. Ma corre in più direzioni: i pericoli degli interventi psicoterapeutici subìti; il parallelismo tra la psicopatologia del doppio, della maschera e della personalità multipla e il mestiere dell’attore; il doppio volto del perfezionismo, qualità essenziale per il conseguimento del successo e della consacrazione come icona collettiva, ma anche fattore di grave rischio psicopatologico.

Su Marilyn, indubbiamente, molto è stato scritto e detto. Solo in lingua inglese si contano oltre 60 biografie, più 40 tra documentari e film, 20 pièce teatrali, una dozzina di articoli accademici, almeno dieci racconti, due monografie psichiatriche, due musical, un balletto, un’opera e una canzone di Elton John.

C'è poi un filone di indagini ancora aperte sulle cause della sua morte. Negli anni Novanta hanno avuto al centro l'ipotesi del “probabile suicidio”, ma hanno spaziato dalle possibili implicazioni della mafia e dei fratelli Kennedy, a quelle dei medici e in particolare del suo psicoanalista, che fu l’ultimo a vederla viva e il primo a vederla morta.  Negli ultimi anni, invece, è stata piuttosto la ricerca delle motivazioni di ordine psichiatrico a tenere desto l’interesse biografico su Marilyn.

Dal 2000 a oggi sono state pubblicate cinque “psicobiografie” finalizzate principalmente alla comprensione della breve e non felice vita dell'attrice come conseguenza di una grave psicopatologia e di trattamenti medici e psicologici che, oltre a non essere stati efficaci, la resero sicuramente dipendente.

Questo di Dell'Osso e Dalle Luche è però il primo saggio che scava in profondità (e con un'ottima scrittura) su un doppio binario: da una parte analizza gli effettivi disturbi mentali dell'attrice. Dall'altro cerca di comprendere come la scomparsa di una celebrità dalla vita travagliata, o comunque contaminata dal fantasma dell’autodistruttività, agisca sulla coscienza collettiva.

Come scrivono i due autori, spesso accade che "una morte prematura, magari in circostanze misteriose, non si esaurisce con una fisiologica reazione di lutto, ma si complica per una sorta di impossibilità o rifiuto a dimenticare". Insomma, diventa quasi patologia di massa: che si “cronicizza”, amplificandosi e sopravvivendo nella sfera eterna del mito. Tanto che Dell'Osso e Dalle Luche concludono che "i processi di iconizzazione di molte celebrità popolari moderne è mediato in qualche modo, paradossalmente, dal loro disturbo mentale".

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