Lifestyle
April 09 2013
Dalle radici di Konongo, in Ghana, alle beghe legali per la figlia avuta da Raffaella Fico. Discese ardite e risalite di Mario Balotelli sono raccontate in A cresta alta, la biografia che Raffaele Panizza e Gabriele Parpiglia hanno scritto per la Roberto Maggi editore. Il libro (160 pagine, 18,90 euro) esce il 9 aprile. Ecco il capitolo sull’infanzia del goleador a Brescia.
«Il mio cuore è bianco?»
di Raffaele Panizza
e Gabriele Parpiglia
«Nei primi anni di vita il bambino dimostra un’irrequietezza particolare, per alcuni al limite dell’iperattività. Ha l’argento vivo addosso, direbbero gli anziani, un’energia cinetica che gli rende difficoltoso il lavoro di gruppo, anche il semplice starsene seduto ad ascoltare.
All’asilo di Concesio, raccontano le maestre, spesso bisognava interrompere il lavoro in classe per portarlo fuori a correre e a sfogarsi. Alle elementari è bravo, «ma completamente selvatico e senza alcun inquadramento», racconta Tiziana Gatti, la sua maestra dal 1996 al 2001 alla scuolaTorricella di via Martinoni a Brescia. Gli piace la matematica, se la cava piuttosto bene nel risolvere i problemi e si dimostra subito portato per le lingue, soprattutto il francese.
Il suo comportamento però è sempre imprevedibile, scalmanato, incontenibile. Mario fa scherzi e dispetti e in mensa, ricordano le bidelle, il suo passatempo preferito è sollevare la gonnellina alle bambine. Una petulanza instancabile che spesso suscita reazioni violente e ingiustificate persino da parte degli altri genitori.
In classe con Mario c’è Alissa, un bambino di origine siriana, figlio di un facoltoso medico di Brescia. Il bambino è timido e soffre di una forma marcata di balbuzie. Mario lo prende in giro insieme agli altri compagni, cattivo come sanno essere i bambini nei confronti dei più deboli. L’unica differenza, come al solito, è che Mario non ha limiti. Così, un giorno il padre di Alissa sbotta e decide di farsi giustizia da solo: si presenta a scuola di buon mattino e si fa indicare il bambino di colore che ha osato far piangere suo figlio. Si avvicina, lo rimprovera e lo colpisce con uno schiaffone. Mario corre in lacrime dal preside che, scandalizzato, minaccia di denunciare l’aggressione alla polizia.
Costantemente in preda a un sottile squilibrio, il piccolo Mario nei disegni si raffigura sempre con la pelle rosa, per paura di non essere accettato dai compagni. Come in preda a una piccola ossessione, chiede sempre le stesse cose: «Maestra, ma il mio cuore è bianco come quello degli altri oppure è nero come la mia faccia?».
Solo in terza elementare, raccontandogli la filastrocca francese L’homme de couleur, Tiziana Gatti riesce a fargli accettare la sua «diversità». «Era una favola molto semplice» ricorda la maestra «basata su un paradosso facile da capire, persino a quell’età: da una parte c’è un bambino di colore che racconta la storia della sua pelle; dice di esser sempre stato così, nero alla nascita, nero dopo aver preso il sole, nero se malato, e nero quando arrabbiato. Dall’altra c’è il bambino bianco che invece racconta di essere nato tutto rosa, ma di essersi ritrovato ogni tanto verde per la paura, o blu per il freddo, o oscuro per l’abbronzatura. E allora, dice a un certo punto il bimbo nero, chi è tra noi due il vero uomo di colore?».
Una favola che dentro Mario sblocca qualcosa, portandolo finalmente a raffigurarsi così com’è, col suo splendido colore naturale.