Mascherine, perché ha senso continuare a usarle
C'è il vicino di sedile che starnutisce in metropolitana, lo sconosciuto con l'attacco di tosse alla presentazione del libro o una fila dietro al cinema, l'amico che tira su con il naso mentre assicura di stare benissimo. Sono tutte situazioni che ormai, acquisita l'esperienza pandemica, danno un po' di naturale inquietudine. Eppure, ipocondrie a parte, le si può vivere con maggiore tranquillità se entrambi – sia noi che il nostro malaticcio, molesto dirimpettaio – stiamo indossando una mascherina.
In Asia rappresentava la regola, una presenza fissa nei luoghi pubblici, prima dell'esplosione del Covid-19. Era ed è un segno di rispetto verso gli altri quando si continuava a circolare pure con la gola malandata. In Italia l'abitudine potrebbe resistere anche quando non sarà più un obbligo di tutela della salute pubblica. Ne è convinto Pier Paolo Zani, amministratore delegato di BLS, eccellenza e autorità italiana in materia: produce mascherine da oltre mezzo secolo. Ha un conflitto d'interessi o quantomeno un interesse legittimo affinché la sua previsione sia avveri, ma in quest'intervista con Panorama.it spiega perché, decreti a parte, potrebbe convenire non pensionare la barriera tra la nostra bocca e il resto del mondo.
Zani, perché la mascherina dovrebbe rimanere una presenza quotidiana e consuetudinaria nelle nostre vite?
L'emergenza sanitaria ci ha fatto scoprire quanto proteggere le vie respiratorie sia essenziale, esattamente come indossare la cintura di sicurezza in auto o il casco quando si va in moto. In questo modo, ha sdoganato la mascherina come accessorio quotidiano, che ora risulterebbe imprescindibile in alcuni contesti, come quello sanitario, della ristorazione, dei viaggi e degli eventi.
Riflettendo in maniera oggettiva, la mascherina ha notevoli vantaggi, come quella di ridurre i rischi legati all'incidenza di altre malattie respiratorie o virali, soprattutto in situazioni ospedaliere, dove molte malattie vengono causate proprio dalla promiscuità. Non a caso, stando ai report e ai dati diffusi negli scorsi mesi dall'Istituto Superiore di Sanità, la stagione 2020/2021 è stata caratterizzata dalla quasi totale assenza di virus influenzali sul territorio nazionale, proprio a seguito delle diverse misure di prevenzione adottate per arginare l'emergenza dovuta al Covid-19.
Allo stesso tempo, ha accelerato la maturazione sull'importanza di proteggere le vie respiratorie non solo da virus e batteri, ma anche - soprattutto nei centri abitati più congestionati dal traffico, in particolare nel periodo autunno/inverno - dalle particelle di Pm10 e Pm2.5.
Quali sono le caratteristiche che rendono una mascherina una buona mascherina? Può ricordarci quali sono gli elementi fondamentali da tenere in considerazione per accertarsi della sua qualità e non vanificare lo sforzo di indossarla?
In generale devono essere certificate per garantire i loro livelli di protezione. Per esempio, le mascherine chirurgiche sono classificate come DM (Dispositivo Medico), quelle FFP2 e FFP3 sono invece dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale).Le mascherine in tessuto non possono invece essere considerate né dispositivi medici né dispositivi di protezione individuale e pertanto non hanno alcuna garanzia di proteggere le persone nel momento in cui dovessero venire a contatto con microparticelle virulente, anche per la grandezza della trama del tessuto che non ha il potere filtrante richiesto.
Oggi è fondamentale ribadire la necessità che aziende, istituzioni e Stati mettano al primo posto la qualità dei prodotti: bisogna scegliere prodotti certificati che assicurino qualità, tracciabilità e affidabilità del fornitore. Non bisogna quindi abbassare la guardia e allo stesso tempo è fondamentale fare informazione sul loro uso corretto. Per esempio, sottolineando come le maschere vadano cambiate con regolarità: sono infatti studiate per proteggere sotto le 10-15 ore di utilizzo nel caso di quelle riutilizzabili e non più di 8 nel caso delle non riutilizzabili. Indossando mascherine che non garantiscono la protezione o non utilizzandole correttamente, si rischia di creare un effetto placebo drammatico che aumenta soltanto il rischio contagio.
Qual è la via del made in Italy al mercato? Attraverso quali strumenti e competenze si può diventare un'eccellenza del settore?
Sono indispensabili tecnologie, macchinari, controllo del processo produttivo, materiali di qualità che rispondano a due requisiti fondamentali: la filtrazione e la resistenza respiratoria. Le aziende che producono DPI dovrebbero essere in grado di garantire il controllo di tutto il processo produttivo e rispettare in ogni fase i requisiti previsti dal Regolamento UE 2016/425, che rappresenta un insieme di regole alle quali il DPI deve sottostare per ottenere il marchio CE. Per poter continuare ad essere competitivi sui mercati mondiali puntando a produzioni in Europa bisogna fare leva sempre su ricerca e sviluppo: proprio per valorizzare al meglio il nostro lavoro di ricerca abbiamo avviato importanti collaborazioni con Polimi e Campus biomedico.
State sperimentando anche sul piano del design. Le mascherine rientrano nella sfera dell'utilità o possono aspirare a essere un accessorio di stile, o almeno uscire dall'essere associate automaticamente a qualcosa di clinico?
Come dicevamo, l'emergenza sanitaria ha reso la mascherina un oggetto di massa, un accessorio quotidiano sempre più necessario per difendersi da agenti dannosi presenti nell'aria con l'obiettivo di migliorare in generale la qualità della propria vita. In questo senso, stiamo supportando la startup Narvalo, spin-off del Politecnico di Milano, incubata in PoliHub e partecipante istituzionale di Fondazione Politecnico di Milano. Narvalo ha creato la Narvalo Urban Mask una mascherina anti-inquinamento tra le più confortevoli FFP3 sul mercato che, grazie alla nostra tecnologia filtrante BLS Zer0 e allo strato in carbone attivo, garantisce un livello di filtrazione superiore al 99 per cento. Si tratta di una mascherina di design - vincitrice del premio Red Dot Award Product Design 2021 per la categoria "Healthcare" - pensata in particolare per gli urban commuters che si spostano in città in bici, a piedi o in scooter essendo inoltre dotata di una valvola di espirazione che massimizza il deflusso d'aria.
Narvalo ha di fatto ridisegnato un prodotto industriale business-to-business ma lo ha pensato proprio per farlo uscire dal contesto clinico, dotandolo di un'estetica accattivante e di funzioni tecnologiche nuove come, per esempio, l'applicazione della valvola elettronica Active Shield, presto disponibile sul mercato, che ottimizza costantemente il flusso d'aria all'interno della maschera, riducendo l'accumulo di calore, umidità e CO2. In più, comunica con lo smartphone per analizzare le performance respiratorie dell'utente e mostrare la qualità dell'aria respirata durante gli spostamenti in città.
Sono state anche sperimentate soluzioni tecnologiche, arrivando a immaginare di controllare la mascherina con lo smartphone, come si fa con uno smartwatch. C'è spazio in prospettiva per questo tipo di proposte o sono troppo d'avanguardia per ritagliarsi davvero una quota interessante di mercato?
Il progetto che stiamo portando avanti con Narvalo va proprio nella direzione di ripensare la mascherina come il completamento di una serie di dispositivi che ormai quasi tutti hanno con sé, dallo smartphone allo smartwatch, per arrivare ad altri wearable legati al monitoraggio delle prestazioni e della salute. Narvalo in particolare sta lavorando sulla misurazione del respiro, poiché a oggi non esiste un dispositivo non invasivo che permetta di misurare la frequenza respiratoria in uso. Si tratta di una caratteristica distintiva che raccoglierà sempre più interesse soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui respirare non è più un'azione considerata scontata.
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