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July 03 2014
L’assassino di Matilda non esiste. Ma il delitto perfetto, sì. Almeno per la giustizia italiana. E’ un’affermazione che non può non nascere spontanea leggendo le motivazioni del non luogo a procedere nei confronti di Antonio Cangialosi, l’uomo entrato nelle indagini per la morte della piccola Matilda Borin, uccisa a 23 mesi il 2 luglio 2005 e compagno all'epoca dei fatti dalla madre della piccola, Elena Romani.
"Il colpo subito da Matilda non può essere stato inferto nel breve intervallo in cui è rimasta sola con l'imputato- scrive il gip di Vercelli, Paolo Bargero, nella motivazione depositata presso il tribunale di Vercelli- vi sono elementi inidonei a dimostrare la responsabilità dell' imputato.”
Dunque non è stato Antonio Cangialosi a sferrare il calcio mortale alla bambina.
Ma il giudice nella motivazione è ancora più preciso specificando che sia l’uomo che la mamma, gli uniche due persone presenti nell’abitazione quando la bambina è stata uccisa, avrebbero una ‘posizione giuridica’ equivalente: entrambi sarebbero innocenti. Ecco il paradosso giudiziario.
"Entrambi (Elena Romani e Antonio Cangialosi, ndr), con tutta evidenza, hanno una posizione del tutto equivalente- si legge nella motivazione- quanto a interessi coinvolti, posto che dichiarando di non avere toccato la bambina implicitamente affermano che è stato l'altro a farlo". Non solo. A favore di Antonio Cangialosi ci sarebbero altre dichiarazioni raccolte nell’immediatezza del fatto. Una in particolare, ovvero quella verbalizzata durante il confronto tra i due fidanzati sulle condizioni di Matilda, quando fu trovata agonizzante in bagno.
Eppure nella casa di Roasio dove nove anni fa, nel 2005 è avvenuto l'omicidio c’erano solamente due persone oltre alla piccola vittima. Nessun altro. Dunque uno dei due deve aver colpito la bambina. Per forza.
La coppia, quel giorno, aveva pranzato dai vicini di casa. Poi, rientrati nel loro appartamento, avevano messo la bambina nel letto matrimoniale e loro si erano seduti sul divano del soggiorno dove si erano addormentati. Ma dopo un po’ la mamma, viene svegliata dal pianto di Matilda. La donna corre in camera da letto e vede che la piccola aveva vomitato, sporcando cuscino e coprimaterasso.
Ma a questo punto che cosa accade? La madre colpisce la bambina? Per la giustizia ‘No, non è stata lei’. E, dopo un regolare processo, la madre viene assolta.
Ma nella motivazione depositata poche ore fa, il giudice torna a “spostare” l’attenzione sulla madre di Matilda.
Per il giudice, infatti, "si possono rinvenire alcune dichiarazioni della Romani contraddette dai fatti". E la donna, si legge ancora nelle motivazioni, è ritenuta "teste di non elevata attendibilità".
Inoltre nelle intercettazioni delle utenze di Cangialosi disposte dopo la riapertura dell'inchiesta, precisa il giudice , non è emerso alcunchè".
Avvocato Sandro Delmastro, legale di Antonio Cangialosi, si sono molti elementi che ‘scagionano’ definitivamente il suo assistito…
Certo ed in particolare la perizia medico legale. Se fosse stato Cangialosi a colpirla, Matilda avrebbe dovuto perdere conoscenza in un momento decisamente successivo al ristretto arco temporale in cui è rimasta sola con lui. Il trauma invece è decisamente antecedente, almeno di 15 minuti. Nella perizia di parla di un tempo massimo di 40 minuti. Quindi, Cangialosi non poteva essere presente quando fu sferrato il calcio all’addome della bambina. Non solo. Persino i periti nominati dall’accusa hanno rilasciato dichiarazioni forse ancor più favorevoli rispetto ai periti nominati dallo stesso Cangialosi per difendersi. Lui non è stato.
Ma perché la verità processuale è sempre più frequentemente diversa dalla realtà dei fatti?
E’ il codice di procedura penale che talvolta è estremamente rigido nell’acquisizione delle prove e tende in alcuni casi a creare situazioni simili a quelle che si sono verificate nel caso della piccola Matilda Borin. Non vogliamo fare il processo al nostro codice ma indubbiamente ci sono degli aspetti che andrebbero rivisti..
Adesso, avvocato, ci troviamo davanti ad un vicolo cieco: un cadavere senza un assassino, una mamma che non può essere più processata perché assolta nei tre gradi di giudizio e un Cangialosi che sicuramente non può essere stato l’omicida. Giustizia non è stata fatta. Che cosa si dovrebbe fare?
Se il nostro Stato fosse un po’ più scrupoloso e amministrasse la Giustizia con un maggior rigore e serietà, adesso dovrebbe prendere questo caso e portarlo in Commissione Giustizia alla Camera e il ministro della Giustizia dovrebbe davvero cercare di fare chiarezza perché è paradossale non aver condannato l’assassino con due sole persone in casa…
Secondo lei perché ciò non è avvenuto?
Forse per poter far emergere in modo concreto e netto le responsabilità dell’assassino, Elena Romani e Antonio Cangialosi dovevano essere processati assieme. Sono quasi certo che in questo modo si sarebbe arrivati ad una condanna certa dell’autore dell’omicidio. Se non si andò al processo per entrambi, però, fu per il gip di I°grado che prosciolse immediatamente Cangialosi proprio perché a suo carico non c’erano elementi che potessero far pensare che fosse stato lui ad uccidere Matilda