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January 16 2023
Dopo 30 anni di latitanza, mesi di indagini sulla pista delle cure oncologiche e tre giorni di blitz alla clinica La Maddalena di Palermo Matteo Messina Denaro è stato arrestato.
L’ultimo dei grandi boss della stagione stragista di Cosa Nostra per la prima volta finisce in carcere.
Caso più unico che raro, va detto. Da Provenzano a Riina tutti i grandi capi della mafia storica, seppur in gioventù o per reati minori, avevano conosciuto le patrie galere. Messina Denaro, no. Pupillo protetto e poi reietto di Totò Riina di Matteo Massina Denaro non esistevano impronte digitali e foto segnaletiche e solo la prova del DNA potrà confermare le parole del super-latitante che ai carabinieri ha detto: “Sono Matteo Messina Denaro”.
Classe 1962, 60 anni, nato a Castelvetrano (Trapani) Matteo Messina Denaro è stato il capo mandamento di Castelvetrano dalla morte del padre nel 1998 e dopo fine dell’epoca Riina e Provenzano è stato ritenuto il re indiscusso della mafia siciliana per molto tempo.
Il suo arresto, però, secondo molti osservatori non arriva per caso e, oltre a essere frutto dell’instancabile lavoro di tutte le forze dell’ordine e dell’incrocio di dati raccolti per anni da ogni fonte – il famoso metodo Dalla Chiesta, rappresenta la fine di un’epoca, quella dell’attacco terroristico di Cosa nostra alle istituzioni e alla convivenza civile, di cui il boss di Castelvetrano è stato uno dei protagonisti più feroci. E con la fine di un’epoca l’inizio di una nuova era.
La strategia della tensione corleonese culminata con gli omicidi del giudici Falcone e Borsellino (1992-1993) ha visto Messina Denaro sempre in prima linea. Feroce, spietato, efferato autore materiale di almeno 20 omicidi l’ex latitante è stato oltre a un boss anche l’icona stessa del regolamento dei conti mafioso.
E’ stato lui ad autorizzare, tra gli altri, l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito di mafia Santino Di Matteo – uno degli “operai” di Capaci –. Il ragazzino di 12 anni è stato prima strangolato e poi sciolto nell’acido dopo 26 mesi di sequestro perché sul padre era “un cornuto” e non ha tenuto la bocca chiusa. Messina Denaro chiamava il bambino ‘u canuzzu, il cane.
Figlio del capomandamento Francesco “Ciccio” Messina Denaro il giovane Matteo è stato allevato per uccidere. Il padre, già in giovanissima età, lo mandava a regolare i conti nella provicia di Trapani e sembra che il primo omicidio lo abbia compiuto quando era ancora minorenne. Il vero “debutto” però è avvenuto a 18 anni quando il padre lo fece partecipare agli omicidi di quattro uomini d’onore della famiglia di Alcamo in dissenso con le strategie trapanesi e corleonesi, strangolati e sciolti nell’acido, secondo le usanze del tempo.
Suo padrino d’eccezione è stato Totò Riina che, intercettato in carcere nel 2013 a proposito dei Messina Denaro ha raccontato: “Suo padre buonanima era un bravo cristiano, un bel cristiano ‘u zu Ciccio di Castelvetrano… ha fatto tanto anni di capomandamento… a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un orologio”. Poi, a proposito di Matteo Messina Denaro ha aggiunto: “Lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia…”.
La “scomunica” del capo dei capi, arrivata come una falce, era dovuta alla sua cattiva interpretazione delle leggi della mafia e alla scelta di preferire “invischiarsi” con le imprese piuttosto che con la politica cosa che, invece, la mafia aveva sempre fatto in maniera efficace. In questo modo avrebbe messo a repentaglio il destino stesso dell’organizzazione. “A me dispiace dirlo – diceva Riina in carcere - questo fa il latitante, fa questi pali… eolici, i pali della luce… Questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa pali per prendere soldi, ma non si interessa di...”
Proprio in questo Matteo Messina Denaro è stato il filo di congiunzione tra le vecchia mafia stragista e la nuova mafia ormai parte integrate del DNA dell’economica.
Il decennio tra il 1989 e il 1999 sono stati gli anni clou dell’impero di Messina Denaro. La prima denuncia per associazione mafiosa, infatti, risale al 1989 quando viene ritenuto coinvolto nella sanguinosa faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna.
Nel 1991 viene ritenuto responsabile materiale dell'omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina dove lavorava una ragazza austriaca amante di Matteo Messina Denaro che si era lamentato “di quei mafiosetti sempre tra i piedi” riferito al boss e ai suoi amici. L’uomo è stato strangolato.
Nel 1992, come riportano le cronache biografiche dell’ex latitante, Messina Denaro fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti di Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati da Messina Denaro stesso.
Lo stop era arrivato da Totò Riina che voleva che Falcone fosse ucciso diversamente, in maniera più eclatante.
Costanzo, invece, è uscito miracolosamente illeso dall’attentato di Via Fauro a Roma il 14 maggio 1993 quando un’auto-bomba era stata posizionata per far saltare in aria lui e la moglie Maria De Filippi. La “colpa” di Costanzo era stata quella di prendere posizioni molto dure nei confronti della mafia dopo l’omicidio di Libero Grasso.
Nel luglio 1992 Messina Denaro fu tra gli esecutori materiali dell'omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all'autorità di Riina; pochi giorni dopo, Messina Denaro strangolò barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi: i due cadaveri furono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. In seguito, Messina Denaro fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992).
Dopo l'arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Tra gli altri organizzò l'attentato ai danni di Totuccio Contorno, coadiuvato da Leoluca Bagarella e in tutto sono una ventina gli ergastoli ai quali è condannato. La latitanza è iniziata ufficialmente nel 1993, giusto 30 anni fa.
Era l’estate del 1993 e Messina Denaro si era recato in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Da allora si è reso irreperibile e nei suoi confronti è stato emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori.
Nel 1998, dopo la morte del padre Francesco (stroncato da un infarto durante la latitanza), Messina Denaro è diventato capomandamento di Castelvetrano. Fino al 2006 era solito scambiarsi pizzini con Provenzano firmandosi con lo pseudonimo di Alessio e lo scambio dei pizzini veniva considerato il metodo di comunicazione più sicuro e infallibile dalle cosche.
Grande amante delle donne Messina Denaro ha avuto una figlia durante la latitanza. Si chiama Lorenza e del padre non vuole neanche sentir parlare.
Si pensava che il capomandamento potesse essere all’estero; era stato segnalato a Barcellona dove si era curato una forte miopia in una clinica privata ma anche a Marsala dove è stato sottoposto a un intervento di cura per un tumore al colon e invece non si è mai mosso dalla sua Sicilia.
Pare che il boss sia molto malato e si pensa che sia stato “offerto” alla giustizia per andare avanti con la nuova generazione dell cosche visto che Diabolik o U Siccu, come lo chiamavano, già da tempo non avrebbe più avuto quel ruolo di primo piano che aveva avuto negli anni 90.