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October 17 2014
Adesso noi dovremmo essere soddisfatti, darci di gomito in redazione e idealmente con voi che ci leggete. Perché quattro giorni dopo aver denunciato in copertina, dati alla mano, l’incapacità del governo di attuare i tagli alla spesa previsti, lunedì 13 ottobre Matteo Renzi ha annunciato l’aumento della spending review nel 2015 da 10 miliardi scarsi a 16 miliardi. Avevamo scritto: «La strada per diminuire seriamente le tasse e destinare fondi agli investimenti c’è, e Panorama la predica in maniera ossessiva: i tagli alla spesa pubblica». Beh, ci sarebbe di che essere contenti.
E invece mentre ascoltavamo l’ennesimo annuncio del premier, in redazione ci siamo guardati smarriti. Perché Renzi, soltanto il 7 ottobre, aveva spiegato che la manovra sarebbe stata di circa 23 miliardi (adesso è di 36) e che i tagli non avrebbero raggiunto quota 10 miliardi (ora lievitati a 16). Il nostro smarrimento nasce dalla considerazione, suffragata da anni di esperienza, che la revisione della spesa pubblica è una cosa seria e non s’improvvisa: va pianificata nel tempo per avere risultati, altrimenti è una presa in giro. Esempio: si decide di abolire le 34 mila centrali di acquisto di beni e servizi per ridurle a 34 con l’evidente finalità di risparmiare. Peccato che questo provvedimento, il quale da solo potrebbe valere circa 13 miliardi (il comune X non potrebbe più comprare un computer, ma lo farebbe un unico ufficio istituito a livello centrale per tutti i comuni italiani, strappando condizioni e sconti assai maggiori dalle imprese che garantiscono le forniture), per produrre effetti già il prossimo anno doveva entrare in vigore a luglio scorso mentre è stato rimandato proprio dal governo (!) al gennaio 2015 per gli acquisti di beni e servizi e al 1° luglio 2015 per gli appalti sui lavori pubblici (!!).
Addirittura nel provvedimento di rinvio della presidenza del Consiglio si legge che «l’area vasta che avrà funzioni anche di centrale di committenza sarà operativa soltanto dal 1° ottobre 2015» (!!!). Non è finita. I comuni hanno già fatto sapere di volere una deroga per gli «acquisti in economia (sono quelli che non hanno bisogno di una gara d’appalto, ndr) fino a 40 mila euro e per interventi di somma urgenza» (!!!!). Non voglio tediarvi oltremodo con i dannati punti esclamativi e mi fermo qui.
Di sicuro non sono queste le premesse per una spending
review affidabile, qui siamo alle comiche. Ma l’annuncio sui 16 miliardi
non è un episodio da trascurare politicamente. Ci dice che la realtà,
cruda e crudele dei nostri conti, impone già a Matteo Renzi di cambiare
metodo. Il premier che camminava tre metri sopra il cielo, il facilone che
pensava di mettere tutto a posto con gli annunci è tornato sulla terra. Ha
preso finalmente atto che le parole non bastano più nell’Italia disastrata
e paralizzata; e che per ripartire la strada obbligata è quella di eliminare
sprechi e mangiatoie come noi gufi gli ripetiamo da quando è arrivato
a Palazzo Chigi senza alcun mandato popolare.
Non è mai troppo tardi. Per fortuna, anzi, Matteo Renzi è diventato
il gufo di se stesso. E questa sì che è una grande soddisfazione.