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March 12 2018
La mossa geniale Matteo Salvini la fece nel giugno scorso. Mentre tutti trattavano su una legge interamente proporzionale, il leader della Lega telefonò, in un afoso pomeriggio a Matteo Renzi, proponendogli l'embrione di quel sistema misto, proporzionale e collegi uninominali, che poi prese il nome di Rosatellum. Un sistema che, nei fatti, ha trasformato la Lega, che con il suo voto radicato nelle regioni settentrionali è diventata essenziale per conquistare i collegi del Nord, quasi nel perno dello schieramento di centrodestra.
La vittoria delle elezioni, che ha permesso ai leghisti di superare Forza Italia, discende proprio da quell'intuizione. "Un nostro errore" ripete ancora oggi Gianni Letta, principe dei consiglieri del Cav, che avversò quella scelta "che ha permesso a Salvini di conquistare una sorta di golden share nella coalizione".
Con il voto del 4 marzo, appunto, Salvini è diventato centrale nello scenario politico: è il primo partito del centrodestra e gli ammiccamenti verso i grillini, che non sfoceranno mai in un amore, gli serviranno come ipotetico "secondo forno", per radicare la propria leadership nella coalizione.
Bisognerà vedere ora come il leader leghista vorrà sfruttare questa rendita di posizione. Se giocherà tutta la partita per Palazzo Chigi sul suo nome e, rischiando di fallire, spingendo il Pd (o una parte di esso) all'abbraccio con i 5 Stelle con la benedizione di Mattarella, o il Paese verso nuove elezioni. O se, invece, in alternativa, sarà disponibile ad appoggiare un altro candidato del centrodestra, più accettabile per il Pd di Renzi.
Inutile dire che, per temperamento e stile politico, Salvini preferirebbe la prima strada. Su questo non ci sono dubbi. Anche con un intento diverso da quello di andare a Palazzo Chigi. "L'orizzonte migliore per Salvini" spiega Guido Crosetto, testa d'uovo di Giorgia Meloni, che conosce bene il leader della Lega "è quello di fare il leader dell'opposizione di un governo Di Maio- Pd. Cosa diversa, invece, è tornare a votare subito. Quella opzione sarebbe estremamente rischiosa anche per lui".
L'altra strada è quella che Renato Brunetta definisce il passaggio "al Salvini statista". Visto che sarà difficile rastrellare cinquanta voti in Parlamento, per mettere in piedi un governo bisognerà trovare un'intesa con il Pd, o con quella parte di esso che non ha nessuna voglia di avere un rapporto coni grillini. In poche parole il Pd renziano. L'ipotesi sul piano teorico c'è. Il segretario del Pd dimissionario, è schieratissimo contro ogni ipotesi d'intesa tra Pd e cinque stelle: "Un'ipotesi che non ha i numeri in Parlamento, visto che anche se mi sono dimesso, non è che me ne vado in California. Tanto più che partirà la mia associazione". Un modo per dire che sarà contro il governo Di Maio o con tutto il Pd, o, come "extrema ratio", solo con i suoi fedelissimi.
Solo che per trasformare la politica d'interdizione verso i grillini di Renzi, in un'interlocuzione con il centrodestra c'è bisogno di un premier diverso da Salvini. Che sia un moderato o un altro leghista, poco importa. "È l'unico modo per riuscire a strappare un'astensione dal Pd", teorizza Brunetta. "Salvini potrebbe fare in ogni caso il ministro degli Interni o degli Esteri". Un'operazione del genere, però, richiederebbe che il personaggio Salvini cambiasse pelle. E possibile? Forse, se la rinuncia a Palazzo Chigi, diventasse la tassa da pagare, per diventare il leader riconosciuto dell'intero centrodestra.
(Articolo pubblicato sul n° 12 di Panorama, in edicola dall'8 marzo 2018 con il titolo "Tutti i girotondi intorno alla Lega")