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November 24 2014
Infaticabile, dinamico, diretto, oppositore indefesso, comunicativo e duro ma non troppo, aperto al dialogo con tutte le categorie sociali compresi gli operai della Fiom che ha difeso nelle "piazzate" romane. Matteo Salvini è il futuro leader del centrodestra? Troppo presto per dirlo. L’Emilia verde non è l’Italia. Il centrodestra italiano non è la Lega. Salvini non è quello che era Berlusconi nel ’94 e neppure nel 2001. Ma, certo, Salvini imprime una scossa salutare al panorama incline alla deriva di un centrodestra quasi rassegnato.
E contribuisce in modo decisivo ad arrestare l’ascesa di Matteo Renzi e del suo Pd, che da "partito del 40 per cento" in Italia si ritrova per la prima volta a incassare la vittoria della Regione sì, ma il record storico negativo del centrosinistra sotto l’asticella del 50 per cento nell’Emilia Rossa.
Salvini si propone (e Maroni lo propone) come scoglio e uncino per la rinascita della sempiterna maggioranza “silenziosa” dello Stivale (o di mezzo Stivale, nel suo caso). Si propone come reclutatore di nuove leve moderate (anche se "moderate" non è l’aggettivo più appropriato per un carrarmato umano come Salvini), in vista dell’agognato ricambio della classe dirigente verde-azzurra. E tuttavia Salvini deve ancora sciogliere nodi ed equivoci prima di aspirare al miracolo di riunire sotto le fruste bandiere del Carroccio l’intero paese.
Il berluconismo esiste, il salvinismo ancora no. E per diverse ragioni. La prima è che lo sfondamento geografico è appena cominciato. In Calabria la Lega era assente. In Sicilia, fa capolino ma in modo ancora pittoresco. A Roma è una contraddizione in termini, per quanto il restyling di Salvini inizi a fare breccia nel cuore di chi nulla avrebbe a che spartire con l’anima indipent-autonomista dei lumbard.
Salvini ha beneficiato della forzata astensione di Silvio Berlusconi dalla competizione elettorale. È l’unico leader del centrodestra che abbia messo la faccia (e soprattutto le gambe) sulla cavalcata delle regionali, ovvio che ne ricavasse un premio. E si è concentrato su temi pop che gli hanno reso al momento giusto un bel bottino di voti: il disordine pubblico delle case occupate, il malcontento (anzi, l’esasperazione) per il dilagare della micro-criminalità spesso legata (inutile negarlo) all’immigrazione clandestina, e naturalmente la morsa di una crisi che non accenna a rallentare (checché ne dica Renzi). Salvini è rimasto orgogliosamente all’opposizione, senza controfirmare patti del Nazareno o compromessi di alcun genere.
Sull’euro ha scatenato una campagna che non conosce mezze misure (alla Marine Le Pen). Facile, ma auto-illusorio, per la sinistra in tutte le sue articolazioni, politiche e mediatiche, sostenere che il centrodestra italiano con la Lega in ascesa perde il centro e si ritrova sbilanciato a destra. Non a caso Salvini ha avuto l’astuzia (o la perfidia?) di schierarsi con gli operai sull’articolo 18, sfidando anche le reazioni della borghesia imprenditoriale per la quale lo Statuto dei Lavoratori è farina del diavolo.
La destra di Salvini è meno liberale e più sociale di quella di Berlusconi. È meno tollerante e più provinciale, più territoriale e meno movimentista, più rozza (il che non necessariamente è un difetto) e non meno popolare ma più elementare nelle sue richieste: la sicurezza prima del benessere.
Il voto in Emilia Romagna dice molto ma non abbastanza sulle prospettive del centrodestra. E magari costringerà Forza Italia a ripensare se stessa, non in funzione di un cambiamento di leader, non in funzione di piccole nicchie di potere da preservare, ma di un progetto e di valori come quelli che nel bene o nel male Salvini va proponendo nella sua marcia oltre i confini del Nordest.
Il leader della Lega ha centrato un successo importante, ma a differenza di Berlusconi resta un leader divisivo, non unificante. La domanda vera resta: qual è il limite fisiologico insuperabile della sua capacità di evangelizzare le “masse” borghesi che hanno votato finora Berlusconi (e in parte Renzi)?