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Manifestazione studentesca contro il ritorno delle prove scritte alla maturità a Roma il 4 febbraio 2022 (Ansa).
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Maturità: il Covid non può essere un alibi per studiare meno

Protestare perché la scuola è in stato di emergenza da due anni è legittimo, ma continuare a farlo ora proprio perché inizia ad uscirne è davvero andare oltre l’immaginazione. In questi due anni abbiamo assistito a ogni tipo di manifestazione per garantire lo svolgimento delle lezioni in presenza: si sono mobilitati studenti, associazioni di genitori, docenti e società civile che al grido «Scuola in presenza!» hanno mostrato il dissenso verso la chiusura insistita dei cancelli delle nostre scuole, mentre in molti altri Paesi la frequenza è stata garantita nonostante la pandemia, le curve dei contagi, i vaccini, i dispositivi di protezione sempre diversi.

Ora che la Dad sembra essere davvero al capolinea, anche alla luce dei nuovi provvedimenti che da venerdì 11 febbraio la renderanno ancora più remota, il ritorno alle prove scritte di maturità ha scatenato nuove proteste perché gli studenti non si sentono pronti. A inizio febbraio. Per fine giugno. A questo punto allora serve capirci.

La scuola in presenza, vale a dire la scuola, presuppone la fatica quotidiana: la sveglia mattutina, il viaggio al freddo e alla pioggia, lo stare insieme in una classe tra gli incontri e gli scontri inevitabili in ogni comunità che vive insieme. E lo studio, quello in aula e quello pomeridiano. Quello serale, se necessario.

La scuola è relazione, certo, è fatta di sguardi, sorrisi e incroci vis a vis, ce lo diciamo da due anni ed è giusto che sia così. È incontro con pensieri e pensatori, teorie e teorici, esperienze e studi, così come è relazione tra pari, con i maestri, nel bene e anche talvolta nel compromesso, nella mediocrità. Ma non è solo questo. La scuola è anche impegno, fatica, successo e insuccesso, lavoro individuale, valutazione una dopo l’altra. Prove. Delusioni. Ripartenze.

Non fa per niente bene alla scuola che ci si scandalizzi ogni volta che si ricorda che a scuola si studia e si viene valutati per quel che si sa e si ha studiato, perché in questo modo la scuola si assimila a un ciclo di conferenze, a un dopolavoro. Cosa che invece non è e non deve diventare.

Troppo comodo invocare la scuola in presenza e poi non essere disposti agli straordinari per recuperare quanto perduto. La generazione che si avvicina alla maturità ha svolto il triennio in condizioni terribili, le peggiori dal 1945 in poi. Questo non significa preferire una pacca sulla spalla a un percorso possibile che si possa sviluppare e concludere con cinque mesi – e cinque mesi non sono pochi! – di preparazione.

Se questa generazione è stata colpita dalla pandemia, e lo è stata, se avverte ritardi nella preparazione, ecco che è il momento di rimboccarsi le maniche. Senza alibi, senza scusanti. La socialità non è più il problema enorme di qualche mese fa perché ora i ragazzi si incontrano, fanno sport, vanno al cinema. Bene, da questo punto di vista le cose vanno meglio, per cui ora tocca pensare agli studenti. Alzare l’asticella garantendo gli scritti di maturità significa dare una forma credibile all’esame finale. Invita a formulare presto un patto d’aula in ogni classe, lavorando sugli scritti, sul tema e alle materie di indirizzo.

Lezioni di preparazione, simulazioni, lavoro a casa, correzioni, fogli scritti su fogli scritti. Fatica. Come un tempo, vale a dire come nel 2019, ben sapendo che probabilmente le basi saranno fragili: in questo la commissione interna e la prova delle materie di indirizzo preparata dal proprio docente aiuterà a evitare brutte sorprese.

Cari studenti, questa volta il ministero vi propone un buon compromesso e un obiettivo che nobilita voi proprio in quanto studenti, per cui non ha senso protestare se vi si chiede di mettervi a studiare riprendendo in mano penne, fogli, vocabolari, calcolatrici. Anche se saranno straordinari. I vostri straordinari, per la vostra preparazione e ancora di più affinché vi riprendiate una normalità scolastica anche in questo senso, cioè quello che garantisce una prova finale che incute un sacro timore.

Non ha senso protestare sempre e comunque e rischiare di vanificare così le proteste legittime, vibrati nei confronti dell’alternanza scuola-lavoro che vi vuole in stage, o nei confronti della scuola che strizza l’occhio all’aziendalismo, o alla scuola delle classi pollaio, o ancora del liceo in quattro anni e più in generale verso trent’anni di smontaggio della scuola intesa come luogo della cultura senza la contaminazione della fretta della modernità, per farla breve.

Ripensateci, quindi. Ora tocca a voi mettere lo studio al primo posto, perché se si scrive dappertutto «priorità alla scuola», ecco, lo sia davvero «qui e ora» nel quotidiano, nei vostri pomeriggi, nelle vostre sere. La scuola è studiare, insieme e anche da soli, la scuola è recuperare i saperi, anche con un gusto della rimonta epica tanto lontano dai valori del nostro presente, ma di cui c’è tanto bisogno per sentirsi vivi e studenti del triennio ora che il triennio volge al termine. Sotto a studiare, allora. Alè.

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