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July 03 2024
Doveva essere l’anno del capolavoro, la novità annunciata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito che sembrava dovesse costituire l’elemento di cambiamento di questo esame di maturità, invece il 2024 sarà ricordato come l’anno dei fiori. Sì, perché da qualche giorno non si parla d’altro sui giornali e sui social, insieme alla presenza di genitori all’orale dei figli. Si tratta di due elementi di contorno che, analisi dopo analisi e intervento dopo intervento, hanno costituito lo spunto ideale per chiunque volesse eseguire una disamina sociale dei maturandi, delle loro famiglie, delle rispettive generazioni, fino a mettere in discussione il senso di tutto l’esame di maturità. C’è chi posta sui social grandi sorrisi e mazzi di fiori, a cominciare dalle tre studentesse che hanno dato vita alla maturità più nota di questi giorni, quella della protesta avvenuta al liceo classico Foscarini di Venezia. C’è chi critica questo nuovo rito, perché ormai è tutto facile, tutto a portata di mano, perché non c’è niente da festeggiare e la maturità non è più quella di una volta. Sia chiaro, queste ultime posizioni critiche sono interessanti e meritano approfondimento, perché vere e consistenti, ma sono poco inerenti a un mazzolin di fiori.
Festeggiare per il raggiungimento di un obiettivo è cosa buona e giusta, e certamente omaggiarsi – tra compagni, tra amici – di un mazzo di fiori è un segno di eleganza che supera di gran lunga altri modi degradanti di fare festa, dall’uso di fumogeni e petardi fuori da scuola, alle bottiglie di spumante sciabolate all’uscita e lasciate sul selciato. Bisogna festeggiare – è proprio il calco del “nunc est bibendum” oraziano – la conclusione felice di un percorso, certamente evitando che anche il rito dei fiori diventi un’abitudine vuota, un’usanza buona per una foto, ma sia invece testimonianza di un percorso compiuto, di un ultimo mese passato a rifinire la propria preparazione, di uno sforzo conclusivo richiesto dalla scuola e ultimato negli ultimi giorni. Un sollievo e una gratificazione dopo un impegno speciale.
C’è poi la questione della partecipazione dei genitori. Anche in questo caso, il tema toccato da alcune analisi è più grande dell’effettiva presenza dei genitori all’orale del proprio figlio, perché l’esame è un fatto pubblico e la presenza in aula di persone terze rispetto alla commissione e ai candidati non deve generare alcuna situazione di imbarazzo. Inoltre, poiché ad assistere alla prova orale solitamente ci sono compagni, compagne, amici e amiche, è naturale che trovino posto anche i genitori. Con l’orale di maturità si chiude un percorso di studi lungo almeno tredici anni iniziato, per quei genitori, accompagnando alla porta di una scuola primaria bambini sdentati con cartelle grandi come loro e ha senso, nel giorno che chiude un capitolo di vita, la presenza di chi ha partecipato, tra colloqui litigi patemi gioie e insuccessi, con un ruolo talvolta scomodo proprio a quel percorso di studi. Certo, la presenza sia discreta, per non turbare i delicatissimi equilibri del momento, e perché sia una reale partecipazione a un momento rilevante della vita di proprio figlio, e non una resa dei conti con la scuola, o un occhio inquisitore sull’operato di un docente. Ci sarà tempo e modo per discutere la posizione di chi vuole i genitori fuori dalla scuola perché di intralcio – è la posizione di Umberto Galimberti, ma anche di Paolo Crepet e Raffaele Morelli – rispetto a quella di chi invece li vorrebbe alleati e partecipi al processo educativo e formativo, invitando a una vera e nuova alleanza tra istituzione, professionisti, famiglie e studenti. Anche in questo caso, la questione è ben più ampia della polemica di giornata e sarebbe auspicabile che trovasse spazio sui giornali e nella società civile, anche senza polemiche e spiacevoli episodi di cronaca.
Fiori e genitori, in attesa di voti finali, musi lunghi, proteste, ricorsi. Questo è il panorama che offre la scuola per questi e i prossimi giorni. Quando le commissioni termineranno i lavori, ci saranno certamente nuove polemiche, questa volta nel merito, tra centesimi mancanti – a detta di chi? – ingiustizie avvertite, confronti tra tabelloni, tra commissioni, tra scuole. E tutto questo porterà a nuovi dissapori, a incontri, convocazioni e mail sgradevoli in mezzo ad altre comunicazioni invece di commiato, di ringraziamento, di saluto.
Questo è il modo con cui si parla di scuola in questo nostro bizzarro tempo in cui si richiede lo sviluppo di competenze professionali ma poi si fa prevalere l’emotività, così come si celebra l’innovazione digitale ma poi si stampa tutto in duplice copia, così come – ancora - si invoca l’intelligenza artificiale, ma poi si sigilla tutto utilizzando la ceralacca, senza fare una piega. Povera scuola.