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October 19 2014
L'opera narrativa di Mauro Covacich è una ragnatela di corrispondenze e La sposa, sorta di romanzo sotto mentite spoglie, non fa eccezione. Ha la natura di un concept album, per usare un termine musicale prog, con la tipica alternanza di suite e pezzi di raccordo più intimi e brevi, ritornelli riproposti con nuovi arrangiamenti, rimandi interni (non solo ai racconti che compongono l'antologia ma anche ad altri lavori dell'autore) ed esterni (la cronaca quotidiana e la storia), finali ad effetto che invece sono soltanto un nuovo inizio.
Avevo immaginato che il nuovo libro dello scrittore triestino potesse fondarsi sulla storia della declamatrice al semaforo, oscar come miglior attrice non protagonista del precedente romanzo L'esperimento. Mi sbagliavo, eppure La sposa - cioè l'eroina del racconto che titola la raccolta - ne condivide in qualche modo i tratti. Se quella ipnotizzava gli automobilisti al semaforo leggendo vecchie poesie, questa li adesca facendo l'autostop in abito da sposa. In entrambi i casi la performance esprime il suo potenziale simbolico e provocatorio nel gestus che porta "fuori contesto" una rappresentazione.
La medesima carica eversiva dell'arte contemporanea Covacich l'ha istillata nel mestiere di scrittore, imbastardendo realtà e finzione in un theatrum mundi di sconcertante verosimiglianza e giocando alla ri-creazione continua di quel teatro a partire da elementi sempre diversi, scovati nella cronaca quotidiana, nella propria biografia, nei pensieri del dormiveglia. Lui stesso ha usato il suo corpo per un esperimento di letteratura "situazionista" nella videoinstallazione L'umiliazione delle stelle (2010), dove incarnava uno degli alter ego che popolano i suoi libri, il maratoneta Dario Rensich, nell'atto "puro" di una maratona sul tapis roulant.
"L'opera umana che l'artista attualizza ogni volta nel suo gesto", spiegava Covacich in quel video, "parte perfetta, divina, stellare, come nelle rappresentazioni dell'arte classica, e arriva umiliata... dalle necessità materiali, dalla sua stessa corporeità". Portando alle estreme conseguenze il concetto, il Brides on tour, il viaggio-performance in abito da sposa compiuto nel 2008 insieme a Silvia Moro, costò la vita a Pippa Bacca, La sposa stuprata e uccisa in Turchia. Qui lo scrittore immagina un finale diverso per quella scandalosa missione che osava simulare un futuro "con livelli più bassi di testosterone".
A partire dalla purezza insanguinata della sposa, la maternità-paternità - o per meglio dire l'istinto biologico di procreazione declinato nei suoi risvolti esistenziali, simbolici e sociali - è il filo che lega i racconti sottotitolati "I miei non figli". Covacich aggiorna in chiave moderna il tabù mitologico dell'infanticidio avvolgendo di pietas le cattive madri che irrompono in Tv e nelle nostre coscienze, il criptonarcisismo dei genitori che esibiscono i figli come trofei, la sterilità di una generazione che per la paura di invecchiare finisce per "abortire i figli come i sogni", come cantava De André.
"Ogni volta che facciamo qualcosa con cura distruggiamo il male che è in noi": la sentenza di Simone Weil è come un mantra che precipita il default esistenziale nell'azione. L'azione diviene surrogato e salvezza dalla perdita dell'innocenza, nel contempo antidoto e ricerca del dolore secondo un tipico, umanissimo paradosso cui Covacich regala poetica eco. Nei racconti sottotitolati "nevrosi aerobica" lo scrittore torna a raccontare le sensazioni indotte dall'attività fisica prolungata simile a una pratica ascetica - la corsa ma anche il nuoto: quell'ottundimento amniotico che spinge a "comprimere l'autocoscienza in uno spazio appena dietro gli occhi", come accadeva a Miele nei romanzi gemelli Vi perdono e Musica per aeroporti.
La complicità con gli elementi anela al vuoto ma intanto scatena pensieri. Come scrive il filosofo-runner americano Mark Rowlands in Correre con il branco, la corsa è uno spazio-luogo del rimemorare: "non i pensieri altrui, bensì ciò che molto tempo fa sapevo ma sono stato costretto a dimenticare, via via che crescevo". La smania del pastore errante porta in queste pagine lo scrittore triestino ad affrontare ancora una volta la frontiera, lo sguardo aperto sulle periferie urbane dove accanto ai santuari open space "con le loro emanazioni ultrasoniche di efficienza e devozione al lavoro" pulsa un sangue inutile, senza futuro.
Frontiera che per Covacich è sempre un orizzonte ontologico, paesaggio-anima alla maniera dei grandi maestri Saba e Zanzotto, confine tra il bene e il male di vivere, casa dei lupi che popolano i nostri sogni e soglia su cui si frangono le grandi domande di una generazione sperduta, maestra di dissimulazione. In cerca di identità. In cerca di grandi domande.
Mauro Covacich
La sposa
Bompiani
pp. 192, 16 euro