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June 23 2014
«Se lasciamo vagare la mente sulla mappa del New England», suggerisce Henry James nel racconto L’influenza di una donna, non faremo fatica a notare la città di W., abbastanza grande, abbastanza serena sede «dell’eccellenza morale e del valore sociale». Nella città vivono un giovane uomo e una giovane donna. Come in qualsiasi altra epoca e città del mondo, li vedremo presto alle prese con quella materia fatta di «sorrisi radiosi e dolci carezze», «granelli d’oro nella scena buia e fosca della vita» che li aspetta.
Ed eccoli lì, infatti: si chiamano Lawrence Bayford e Cora Delvine. Lo zoom ce li rivela arguto e timido lui, ammaliatrice «anche quando cercava di riuscire solo gradita», lei. Lawrence si mette in testa che se potesse corteggiarla sarebbe felice; Cora, brillando, aspetta che lui si dichiari. Entrambi leggono Byron: sanno già tutto ciò che l’esperienza confermerà: che la fiamma si spegne, che le parole più ferme degli amanti sono vane, che le promesse sono difficili da mantenere perché quando c’è l’obbligo al mantenimento di una promessa si è già fuori dall’amore. Ma sono giovani, freschi per la vita e l’errore, perciò quando lui le chiede di sposarlo lei accetta.
Henry James è troppo raffinato per il lieto fine, che non si abbina all’amore e alla letteratura: e così manda Lawrence in Australia per lavoro. Gli fa spedire ogni giorno lettere all’amata, che ricambia, manda baci, disegna cuori, lo aspetta e va ai balli, nella cittadina del New England. Hanno una vita davanti, di incalcolabile bellezza, come può crollare sotto i colpi del presente? Può, eccome: un ricco bellimbusto di nome Leslie Arnold vorrebbe invitare Cora a ballare ma sapendola fidanzata si trattiene. Cora, che ha il cuore «leggero e frivolo», ed è «sconsiderata e incurante», si fa «distrarre» da lui. Le lettere a Lawrence si fanno più fredde e più rade; lui dubita, si rischiara, dispera, finché qualcuno, un conoscente, lo informa del fattaccio: Cora è ormai di un altro. La notizia lo distrugge.
«Spezzato come una canna», lo vediamo vagare in riva all’Oceano, rimuginare da alienato, parlare con lei che non c’è più: «Ah, Cora, se non mi amavi, perché hai promesso di essere mia?Avrei dovuto immaginare che la tua natura…». Colpevolizza sé stesso: «Perché ti ho lasciato, terra nativa, e con te le persone che amavo?». Alterna disprezzo, auto-distruzione, frustrazione, self-pity: «Quando il tuo cuore è cambiato nei miei confronti me l’avresti dovuto dire».
Non può farci niente: in Australia come nel New England come in tutto il mondo, il suo cuore «ancora pulsa per i pensieri che mi stanno agitando». Il pensiero della donna che ama, «fino ad allora sempre piacevole e gradito», è «diventato uno strumento di tortura».
Spesso, dice James, le persone abbandonate si fanno del male, o si danno ai vizi di una vita dissoluta «per affogare la mortificazione e il rimorso che seguono alla fine del loro amore». Ma a volte riescono a «innalzarsi rispetto a tale infamia senza cuore con calma e sobria onestà».
È il caso di Lawrence. Asciugate le lacrime, si dice che «se Cora non provava amore per lui, non sarebbe mai stato felice con lei e, se le cose stavano così, era meglio rimanere lontani».
Il caso miracoloso lo soccorre: la bella Celeste, figlia di un uomo ricco, lo ricambia con amore. La sposa. Cora viene a saperlo: «ascoltò la notizia con cipiglio fermo e tranquillo, ma le fitte che le trafissero il cuore rivelarono quanto fosse ferita»; sapendosi dimenticata, si ammala; muore.
Anni dopo, Lawrence porta Celeste nella città di W. Del suo vecchio amore non ha più saputo nulla. Gli amici non gli hanno più scritto, non sa nemmeno se sono vivi o morti. Così porta Celeste al cimitero, illustrandole le tracce della sua prima vita. «Trovandosi di fronte a una tomba di marmo più fine delle altre», la moglie si ferma a leggere l’iscrizione: «Chi è? La conoscevi?». Lawrence tace e si copre gli occhi con le mani.
Quando ha scritto questo racconto, Henry James aveva 15 anni.