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July 02 2012
Scrittrice che non ama la banalità (già autrice di Vita, Il bacio della Medusa,Lei così amata) e che inserisce la penna in storie sempre particolari, Melania Mazzucco ad aprile ha pubblicato la sua ultima fatica Limbo (488 pagg, Einaudi). Protagonista Manuela Paris, "una ragazza dura e fragile, entusiasta e delusa, spaventata e coraggiosa", una donna soldato. Capelli a spazzola e stampelle, è nella casa materna a Ladispoli per riprendersi dopo aver subìto un attentato in Afghanistan. Al di là del terrazzo dove si affaccia per accendersi una sigaretta, nell'hotel di fronte, c'è un uomo solitario che la guarda fumare ogni sera.
La narrazione alterna pagine "Live", dove il racconto si muove in terza persona, e pagine di "Homework", dove Melania fa parlare la sua Manuela in prima persona e le fa rivivere il passato in un esercizio per recuperare ricordi e abituarsi ad accettarli.
Panorama.it ha incontrato la scrittrice.
Melania Mazzucco, cosa l'ha spinta a raccontare le vicende di una donna soldato?
"Nei miei romanzi ho sempre cercato di narrare figure femminili inquiete, non troppo rassicuranti e non convenzionali. Che avessero cioè i sogni e le aspirazioni di tutte le donne, ma allo stesso tempo fossero alla ricerca di qualcosa, lottando per non restare prigioniere del modello femminile tradizionale. Il quale, almeno per quante vivevano nei secoli passati, non prevedeva per loro nulla più della sottomissione alla volontà paterna, o alle esigenze sociali, o del matrimonio con un uomo che non avevano scelto. Così ho scritto di artiste realmente esistite - una pittrice come Marietta Tintoretto (in Jacomo Tintoretto e i suoi figli , ndr), vissuta nel Cinquecento, e una scrittrice fotografa come Annemarie Schwarzenbach (in Lei così amata , ndr) – e di personaggi immaginari come una ragazzina selvatica di nome Medusa, che si ribella al suo destino di corpo oggetto e poi di emarginata (in Il bacio della Medusa ). Scrivendo una storia contemporanea come Limbo, volevo raccontare di una giovane donna di oggi, Manuela Paris, profondamente diversa dal modello che negli anni Zero del XXI secolo, come usa dire, è sembrato dominante. O almeno lo è stato sui mass media e alla televisione. Manuela ha scelto di praticare il 'mestiere delle armi', di confrontarsi col mondo maschile e maschilista per eccellenza: l’esercito. Si trattava, per quanto ne so, di una figura inedita nella nostra letteratura. E questo rappresentava una sfida per me. Inoltre, solo la prospettiva – obliqua, straniante - di una donna mi avrebbe permesso di raccontare la strana guerra degli italiani in Afghanistan – o meglio, la missione italiana in Afghanistan. Obliqua, straniante anch’essa, e inedita al punto che manca perfino un termine corretto per definirla. Come la donna-soldato, come Manuela".
Come ha fatto a immedesimarsi nei panni di Manuela Paris e quanto studio ha fatto per riuscire a usare con padronanza terminologie e "sensazioni" militari?
"Quando scrivo, ho bisogno di comprendere i miei personaggi, la loro mentalità, il modo di parlare, di muoversi, di essere nel mondo. Ciò vale per tutti - sia che io scriva di un pittore come il Tintoretto de La lunga attesa dell’angelo , o di un poliziotto come l’Antonio Buonocore di Un giorno perfetto . E anche, ovviamente, di una donna militare. Ogni mio romanzo pretende un lento lavoro di preparazione – che non è solo ricerca di informazioni fonti, testimonianze, consulenze. Anche se questa attività di esplorazione, che per me è molto avvincente, può durare anni, e talvolta decenni. Forse è qualcosa di simile al percorso che deve fare un attore quando interpreta un personaggio che non gli assomiglia, almeno apparentemente. L’attore deve cercare ciò che lo distingue dal personaggio e ciò che invece li accomuna, lavorare su se stesso – diventare l’altro e al tempo stesso distanziarsi da lui. Così anch’io. Devo riuscire a pensare come Manuela Paris, conoscere il suo gergo e abitare il suo mondo (il che significa impadronirsi dei minimi dettagli della sua vita, fino al modo in cui carica il suo fucile). Ma poi devo allontanarmi da lei, per poterla ‘vedere’ e dunque raccontare.
E capisco di essere riuscita a entrare nel mio personaggio quando riesco a inventare le informazioni che non ho più bisogno di chiedere".
Manuela non è soltanto soldato semplice ma comanda un plotone di uomini, seppur per farlo sia dovuta passare tra tanti pregiudizi risparmiati invece agli uomini: ha voluto raccontare così anche l'evoluzione della situazione femminile, pur tra difficoltà?
"Al di là della professione di Manuela, che in Italia è praticata da una percentuale assai piccola di donne, anche se agguerrite e motivate, credo che molte ragazze possano riconoscersi nelle sue difficoltà, nei suoi dubbi, nel suo desiderio di guadagnarsi il rispetto e la stima dei compagni di lavoro. E in questo senso si può anche leggere la figura della donna soldato in una chiave non letterale, ma metaforica. Per parlare anche d’altro, cioè dei cambiamenti della società italiana
degli ultimi anni, e in fondo, di tutte noi".
Manuela all'inizio è fieramente convinta di partire per l'Afghanistan come "soldato di pace", ma sul posto è adombrata da dubbi, contraddizioni, circa una guerra anomala diversa da come se l'aspettava. Dietro le perplessità di Manuela c'è la sua visione sulla Guerra in Afghanistan? Il Limbo non è solo quello di Manuela, ma anche quello di questo Paese martoriato?
"Il personaggio di un romanzo non è il portavoce dell’autore. O almeno, non lo è mai nel mio caso. Ciò che pensano Manuela, Diego, il capitano Paggiarin, lo pensano in quanto personaggi di una storia che ha bisogno del loro autunomo punto di vista e delle loro idee. A mio parere, in letteratura quello che conta non è ciò che pensa l’autore, ma ciò che pensa il suo libro. Ovvero, quali sentimenti ed emozioni trasmette al suo lettore, quale visione del mondo, quali rapporti fra gli esseri umani... E ciò che gli lascia, quando il libro è finito e la trama svanisce dalla memoria. Perciò se il lettore chiude Limbo pensando all’Afghanistan come a un paese meraviglioso e dolente, popolato da persone ricche di dignità e sofferenza, o pensando ai soldati senza pregiudizi, se gli resta il ricordo dell’interprete Ghaznavi e del paesaggio desertico che Manuela ha imparato ad amare, forse alla fine penserà come lei. Che è fiera di aver costruito la scuola di Qala-i-Shakrak, ma che avrebbe preferito che l’avesse costruita il figlio di Fatimeh. E in quella considerazione c’è il senso che Manuela attribuisce alla sua missione, e alla sua esperienza".
Quanto l'affascina l'Afghanistan? Dopo questo "vaggio" compiuto come scrittrice con Limbo sogna ancora di andarci?
"Ho sempre desiderato andare in Afghanistan e un giorno ci andrò. Ma sarà quando le armi taceranno, e quando io non sarò una nemica, perché occidentale, italiana, donna. Quando i bambini non moriranno sotto le bombe o saltando su una mina. Quando potrò semplicemente sedermi su un tappeto, in un villaggio tra le montagne, a bere il tè coi miei ospiti, dei semplici pastori, come poteva fare Annemarie Schwarzenbach nel 1939. Quando potrò viaggiare libera, e dunque vivere libera. Allora varcherò la frontiera. Ma fino a quel momento, solo le parole possono portarmi laggiù".
L'incontro con Mattia aiuta Manuela a rinascere. L'amore è salvifico?
"Non so se l’amore sia salvifico. Anzi, è spesso una forza distruttiva e devastante. E del resto nei miei libri precedenti ho narrato proprio di questo aspetto dell’amore. Però in Limbo l’amore svolge una funzione vitale. Mattia e Manuela sono due persone letteralmente morte. Amare significa interessarsi all’altro. Amare costringe ad accorgersi del mondo. Ad accettarlo. A dare significato al trascorrere del tempo e ai mutamenti. A vivere, insomma".
Che libro sta leggendo in questo momento e che libro non ha ancora letto e vorrebbe leggere?
"In questo momento sto leggendo un libro che avrei sempre voluto leggere. I Miserabili di Victor Hugo. Ho una passione antica per il formidabile Hugo, ma i quattro piccoli tomi con la copertina in cartone verde dell’Istituto Editoriale che avevo nella biblioteca di famiglia, tutti sdruciti sul dorso, stampati in caratteri piccolissimi, mi avevano tenuta lontano. Eppure considero Notre-Dame-de-Paris uno dei classici più divertenti dell’Ottocento. In questo momento ho iniziato il secondo volume. I personaggi di Hugo – in bianco e nero direi – sono esagerati come l’autore. Adoro la sua saggezza e il suo massimalismo".
Sta già lavorando o anche solo pensando a un nuovo progetto editoriale? Se sì di che si tratta?
"Quando finisco di scrivere un libro, ho bisogno di alcuni mesi prima di potermi dedicare a un’altra storia. È un modo per congedarmi da un mondo. Per creare il vuoto dentro di me. Ho finito Limbo quasi nove mesi fa... dunque ho già ricominciato a scrivere. Sono già circondata da altri personaggi, altre voci, altre storie. Credo che il mio prossimo libro sarà… qualcosa di breve".