Quasi tutti i big in campo per le europee, ma ciascuno in modi e per ragioni diverse

Alla fine corrono tutti i principali leader della politica italiana. Giorgia Meloni si candida per le europee, Salvini e Tajani anche. Schlein ha scelto di rincorrere la premier. Ognuno gioca la propria partita sia in un orizzonte europeo che in quello nazionale.

La politica italiana entra in una fase di personalizzazione inevitabile; la politica è sempre più leaderistica e i partiti sono sempre più personali. Schlein ha fatto marcia indietro sul nome nel simbolo, troppe le resistenze delle varie correnti PD, ma dopo mesi di tentennamenti ha ceduto alla tentazione della candidatura per prendersi definitivamente il partito democratico. Per la segretaria dem le europee sono una sorta di seconde primarie: se andranno bene sarà più forte, se il risultato sarà deludente la sua segreteria potrebbe finire presto.

Per Giorgia Meloni è la ricerca di un plebiscito. Il Presidente del Consiglio vuole milioni di preferenze e un partito di governo capace di staccare tutti, alleati e avversari. E’ una prova generale di premierato, la richiesta all’elettorato di una spinta per verticalizzare il potere. Senza riforma costituzionale ogni elezioni si trasforma nel tentativo del leader forte di turno di concentrare consensi e legittimazione. Meloni, che è un politico puro e talentuoso, non fa eccezione. Un risultato importante per lei significherebbe, inoltre, arrivare sui tavoli europei con un peso maggiore. Meno libera dai vincoli degli alleati, soprattutto da Salvini, e più forte nelle manovre con il PPE per il governo dell’Unione Europea.

Matteo Salvini non si candida ma è in una situazione molto simile a quella di Schlein e di Meloni. Salvini si gioca molto in questa elezione dopo un quinquennio di declino dei consensi per la Lega e con la scelta di imboccare la via della destra nazionalista. Il suo outsider è il generale Vannacci, ma occorre fare attenzione perché a volte gli esperimenti possono sfuggire di mano. Si pensi al Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte, un prestanome che si è trasformato in dominus del partito. Da parte del segretario della Lega c’è il tentativo di sopravvivere all’elezione europea come leader del partito poiché molto è lo scetticismo diffuso tra i leghisti sulle scelte politiche di Salvini, anche se allo stato attuale non si scorge all’orizzonte una chiara alternativa che potrebbe rimpiazzare il capitale.

Tajani invece ha ufficializzato la sua candidatura e vuole sfruttare il buon vento nelle vele di Forza Italia per consolidare la propria leadership nel partito. La candidatura del leader azzurro non sposterà grandi consensi, ma serve a tenere serrati i ranghi del partito e ancorarlo al governo dell’Italia e dell’Europa. In conclusione si materializza uno scenario generale che, per la tradizione politica italiana, già si intuiva da mesi e cioè l’uso e consumo delle elezioni europee quasi esclusivamente a sfondo interno e personale, per rafforzare le leadership o per regolare i conti interni ai partiti. Al governo dell’Unione Europea come sempre ci si penserà poi, ad urne chiuse. Non è amarezza o moralismo, è semplicemente la cinica realtà.

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