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(AP Photo/Virginia Mayo, File)
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Attenti al Mes

Con molta ironia Indro Montanelli raccontò di un politico che descrisse la Costituzione come se fosse una bottiglia di Barolo: più invecchia e più migliora. Roberto Benigni, invece la definì la più bella del mondo, salvo poi convertirsi alla riforma di Matteo Renzi che la voleva cambiare. Tra una bottiglia di Barolo e una battuta di Benigni ho però la sensazione che pochi la conoscano e quasi nessuno sia disposto ad applicarla. Quanto meno in alcune sue parti. Prendete per esempio l’articolo 47, quello in cui la carta si occupa del risparmio. «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme», recita il primo comma. E il secondo aggiunge: «Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».

Vi pare che il primo e secondo paragrafo siano stati rispettati e applicati? A me pare di no. Basta ricordarsi quanto è accaduto nel 2015 con le banche in difficoltà. Invece di tutelare il risparmio di migliaia di pensionati e investitori, il governo dell’epoca, dopo aver anticipato una riforma europea, cancellò azioni e obbligazioni degli istituti, scaricando i costi del crac su inconsapevoli e incolpevoli risparmiatori e lasciandoli con in mano un pugno di mosche. Non ci fu nessuna tutela del risparmio, nessun controllo su consigli di amministrazione in evidente conflitto d’interessi, nessuna azione preventiva per impedire che le banche dilapidassero il patrimonio dei clienti. Oltre a non aver difeso il risparmio, non c’è poi stata neppure una stretta per punire chi avesse danneggiato i risparmiatori, con il risultato che tutti o quasi i banchieri responsabili dei crac non pagheranno per ciò che hanno provocato.

Se ricordo fatti che Panorama ha raccontato con inchieste dettagliate non è per rinfrescare la memoria ai lettori, ma per avvisare che la storia potrebbe ripetersi e ancora una volta a pagare potrebbero essere quegli italiani che producono ricchezza per sé o per i loro figli. Immagino che molti abbiano sentito parlare del Mes. Nonostante il nome non sia accattivante e la materia un po’ ostica, il Meccanismo europeo di stabilità ci riguarda da vicino e la sua approvazione dovrebbe richiedere da parte di tutti un supplemento di attenzione. Non è con i grandi discorsi sull’ambiente o su Venezia fatti da Ursula von der Leyen che si cambia l’Europa: è con i trattati che regolano le materie economiche. Da Maastricht in poi, credo che tutti abbiano capito che un parametro è per sempre e costa più di un diamante. Dunque, il Mes rischia di costarci una montagna di soldi, quelli che gli italiani hanno messo da parte per il loro futuro. Tra i primi a lanciare l’allarme è stato proprio un banchiere, anzi: il capo dei banchieri, cioè Antonio Patuelli, che senza giri di parole ha fatto capire che la riforma studiata a Bruxelles rischia di essere per il nostro Paese un autentico disastro. E, con toni più felpati, gli stessi concetti sono stati ribaditi anche dal governatore di via Nazionale, Ignazio Visco. Un’analisi più o meno simile l’hanno fatta anche gli esperti della Luiss, l’università di Confindustria.

Ma che cos’è che allarma tanto banchieri, imprenditori e professori e non sembra scuotere la politica che deve prendere decisioni? Il fatto che il Meccanismo europeo di stabilità, ossia quello che in maniera colorita noi giornalisti chiamiamo il fondo Salva Stati, cambierà le sue regole. Si spenderà di più, cioè a noi italiani costerà il doppio di ciò che ci costò salvare la Grecia, e dunque dovremo indebitarci di più, perché se facciamo fatica a trovare 10 miliardi per le pensioni è evidente che sarà ancor più difficile trovarne 100 da versare nel salvadanaio europeo. Ma oltre a questo aspetto, la cosa più inquietante è che a usufruire di quei soldi potranno essere solo i Paesi con un rapporto debito/Pil sotto il 60 per cento, cioè non noi. In pratica, pagheremo, ma già sapendo di non avere alcun beneficio a meno che quegli Stati con i conti in disordine non si rassegnino a lasciare ad altri le decisioni sulla ristrutturazione del proprio debito.

Non è finita: il Mes potrà servire anche per aiutare qualche Paese che debba fare i conti con le crisi bancarie. Fuori dal linguaggio arido dei numeri e dei commi, significa due cose. La prima è che nel caso avessimo bisogno di quei soldi sarebbero altri, Francia e Germania, a dettare le regole e nel nostro caso potrebbero spingere l’Europa a costringerci a interventi come quelli visti in Grecia, ossia tagli alle pensioni, imposta di successione e tassa patrimoniale. La seconda è che il Mes servirà a salvare le banche tedesche, che come tutti sanno sono sull’orlo del crac. La Germania ha un rapporto debito/Pil sotto il 60 per cento e un paio di bombe a orologeria nel suo sistema del credito, dunque il nuovo regolamento del Mes sembra scritto apposta per evitare che scoppino. In pratica, si ripeterebbe quanto è accaduto in Grecia, quando l’Italia fu chiamata a pagare 63 miliardi per salvare Atene, o meglio le banche tedesche e francesi che avevano investito in quel Paese e che in caso di default sarebbero state trascinate nel fallimento.

Tutti sanno che l’Italia rappresenta una grande anomalia, perché ha il più grande debito pubblico dell’area euro, ma allo stesso tempo tutti, in particolare Francia e Germania, sono a conoscenza che il nostro Paese ha la più grande ricchezza privata che ci sia in Europa. Il risparmio, quello tutelato dall’articolo 47. Ecco, questo è il punto. Qualcuno ci ha messo gli occhi e qualcun altro ci vorrebbe mettere le mani. Ora capite perché questa faccenda del Mes non èsolo cosa per gli addetti ai lavori? 

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