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Così i cartelli della droga tengono in pugno la politica messicana

Un crimine di Stato. Così Amnesty International definisce la sparizione e il massacro dei 43 studenti di Iguala, in Messico, che il 26 settembre scorso sono stati sequestrati dalle forze di polizia e si sono volatilizzati. I narcotrafficanti hanno detto di averli uccisi e bruciati, ma in tanti non ci credono o non ci vogliono credere. Intanto, il Messico è in fiamme.

Da Iguala ad Acapulco in migliaia sono scesi in piazza chiedendo giustizia per gli studenti scomparsi e denunciando la corruzione dello Stato e dei due principali partiti del Paese, il PRI del presidente Enrique Pena Nieto (Partito Rivoluzionario Istituzionale, praticamente un ossimoro in termini linguistici e politici), e il PAN (Partito di Azione Nazione, cattolico e di impostazione liberista).

Nello Stato di Guerrero, dove si trova Iguala, circa 500 manifestanti hanno assaltato proprio la sede del PRI, chiedendo a gran voce giustizia per i 43 desaparecidos. Intanto,  gli esperti dell'equipe forense argentina che stanno esaminando i resti di 30 cadaveri ritrovati in tre punti diversi di Iguala, hanno dichiarato che 24 corpi finora non risultano appartenere a nessuno dei 43 studenti. La rabbia sta scuotendo il Messico, ma questa volta nel mirino dei manifestanti ci sono tutti, a cominciare dalle principali cariche istituzionali, presidente in testa.

Quest'ondata di sdegno internazionale per quanto è accaduto ad Iguala porterà a dei cambiamenti nella situaizone messicana? Panorama.it ha intervistato Gennaro Carotenuto, docente di Storia contemporanea all'università di Macerata ed esperto di Storia dell'America Latina.

Professor Carotenuto, questa rivolta di piazza in Messico per chiedere verità e giustizia sui 43 desaparecidos porterà a qualcosa?
In realtà il Messico è storicamente il Paese delle ribellioni. Nel 2006, a causa di evidenti brogli elettorali, per tre mesi di seguito la gente è scesa in piazza. Parliamo di 3 milioni di persone. Ma, le ribellioni in Messico sono sempre finite in due modi: o con la repressione nel sangue o con la normalizzazione. Stiamo parlando di un Paese che ha istituzionalizzato il partito rivoluzionario.

Questa volta crede che la situazione si normalizzerà o che si arriverà alla repressione violenta?
In Messico il sistema democratico è in crisi strutturale nonostante si voti regolarmente. La gente è indignata soprattutto perché chiede il rafforzamento ad uno Stato di diritto che la violenza e capacità corruttiva del Narco ha dilaniato. L’evidenza che le vittime di Iguala fossero dei semplici studenti è riuscita a bucare il silenzio dell'informazione internazionale, che in questi anni ha seguito ben poco una guerra civile strisciante costata alla frontiera con gli USA oltre 60.000 morti sotto forma di guerra al narcotraffico, voluta dall’ex-presidente Calderon e che nella sostanza ha portato a sostituire un cartello con un altro.

Sta pensando alla corruzione della classe dirigente messicana?
La classe dirigente messicana ha tenuto in mano tutto ciò che produceva lucro, il contrabbando dell’alcool verso gli USA durante il proibizionismo è diventato il narcotraffico di oggi mosso dagli stessi fili. L’immagine del contadino analfabeta che diventa un signore della droga esiste ma è fuorviante. I cartelli tendono a coincidere con molte grandi famiglie tradizionali che magari fanno studiare i figli nelle più prestigiose università statunitensi.

Crede che per il Messico ci sia una speranza di cambiare?
Studiosi come Luís Astorga, della UNAM, pensano che l’unica soluzione sia la fine del proibizionismo negli USA, al momento lontanissima. Negli anni Venti il Messico ebbe problemi comparabili con una crescita enorme del contrabbando. Questi rientrarono dopo il 1933 quando l’alcool tornò legale. Oggi un paese civilissimo, industrializzato e membro dell’OCSE e del G20, con 100 milioni di abitanti, grandi tradizioni di Stato sociale e una storia e cultura plurimillenaria è di fatto tenuto in scacco dai cartelli della droga capaci di pagare singole mazzette che in almeno un caso hanno raggiunto i 48 milioni di dollari. I movimenti sociali di queste settimane, figli di una storia che nel 2011 portò milioni in piazza contro la violenza con il poeta Javier Sicilia, sono l’ennesima prova di vitalità della società civile. Senza sciogliere il nodo del potere dei narco saremmo però sempre sul bordo dell’abisso.



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