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(Ansa)
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Quelli che vogliono lo Stato di paura climatico

Ogni giorno scopriamo che la nostra vita si sta trasformando a causa dei cambiamenti climatici, ad informarci di come questo accada ci pensano i media. Questo naturalmente comporta l'amplificazione dei contenuti che pone i media stessi in una condizione di necessità: quella di fornire sempre più contenuti sui cambiamenti climatici per soddisfare i loro lettori, o i loro editori. Gli effetti di una grossolana disinformazione possono essere molteplici. Come attribuire i costi di un disastro naturale interamente al cambiamento climatico oscurando realtà più complesse come la prevenzione o l’omissione del principio di precauzione.

Oppure indurre uno stato di paura. Altrettanto controproducente poiché non fa altro che paralizzare le persone come osserva il nuovo presidente dell'IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, Jim Skea. Il costante allarmismo sul cambiamento climatico, afferma Skea, che sostiene di non credere agli scenari apocalittici, è infondato: le tecnologie e gli strumenti per mitigare i cambiamenti climatici sono disponibili, devono solo essere applicati.

Il genere umano cerca, da sempre, di venire a patti con il clima. Sviluppa microclimi per isolarsi dagli estremi climatici e tecnologie e pratiche per la propria sopravvivenza e prosperità. Oggi invece si sta sviluppando un nuovo stato d'animo: quello del destino guidato dal clima. Dove l’uomo, causa del cambiamento climatico, sostituisce il divino come responsabile delle condizioni meteorologiche estreme, delle crisi migratorie e della prosperità delle nazioni del ventunesimo secolo.

A sostenere questa visione sono una categoria di “esperti del destino” che garantiscono un futuro possibile "solo" se si raggiungono gli obiettivi climatici perché solo la riduzione delle emissioni di CO2 determina il benessere. La soluzione è monocausale, ed implicitamente allettante perché suggerisce una risposta semplice ad un problema complesso. Assolve dalle responsabilità delle catastrofi meteorologiche e suggerisce che il dibattito è solo un’inutile perdita di tempo davanti all’ineluttabile. Dimenticando, incidentalmente, che la contrapposizione delle fonti si chiama “metodo scientifico”.

In questo modo il paradosso socratico sembra essere superato. Quello che è stato fondamento per molte generazioni di scienziati “so di non sapere” sembra essere stato superato dalle rivendicazioni di conoscenza dei modellisti climatici. Senza peraltro dirci nulla di nuovo sulla storia del nostro pianeta che è una sequenza di cambiamenti climatici che hanno condizionato anche la breve storia del genere umano.

La teoria del climate change è un modello matematico che pretende di dimostrare che noi umani siamo in grado di condizionare l’effetto serra del Pianeta: senza però alcuna conferma sperimentale lasciando quindi margini di errore di entità indefinita. In pratica un atto di fede perché, per confermare le tesi dei modelli climatici dell’IPCC, servirebbe una copia del nostro pianeta priva del genere umano da cui rilevare i dati necessari a dimostrare come sia la cosiddetta “forzante antropica” la causa dei cambiamenti climatici.

In realtà si tende a confondere, spesso in malafede, l’inquinamento con il cambiamento climatico o, peggio, indurre la convinzione che uno sia conseguenza dell’altro. Niente di più falso. L’inquinamento, la cui responsabilità è certamente imputabile all’uomo, può potenzialmente rendere il mondo invivibile per molte specie, compresa quella umana. L’inquinamento può alterare gli equilibri dei rapporti tra ecosistemi, esaurire risorse non rinnovabili, fino ad danneggiare gli equilibri interni ad ogni essere vivente causandone malattie e morte. Ma devastare l’ambiente è cosa diversa da alterare il clima così come l’inquinamento dovuto all’eccesso di consumo di risorse non ha niente a che fare col surriscaldamento globale.

Il presidente dell’IPCC, Skea, nella sua dichiarazione, sostiene che disponiamo degli strumenti dobbiamo solo applicarli. Eppure gli strumenti previsti, che impongono un nuova e colossale industrializzazione, non considerano come affrontare la crisi delle risorse naturali "rinnovabili". A causa delle enormi dimensioni dell'estrazione mineraria, molte risorse "rinnovabili", come le foreste o la fertilità del suolo, diventeranno non rinnovabili: la risorsa si esaurisce quando il tasso di utilizzo è molto più alto del tasso con cui l'ambiente è in grado di rinnovare la risorsa. Pertanto, al ritmo previsto, i problemi delle risorse naturali non rinnovabili potranno riguardare allo stesso modo tutte le risorse, rinnovabili o meno.

Inoltre sembra passare inosservato il fatto che, ad oggi, non vi è nessun accordo globale sulla riduzione delle emissioni. Questo significa che la competizione, tutta occidentale per diventare il primo continente climaticamente neutro, che gli sforzi per raggiungere gli obbiettivi degli Accordi di Parigi saranno vanificati, in considerazione del fatto che i paesi in via di sviluppo supereranno con le loro emissioni quelli sviluppati entro la metà del secolo.

Pare ci si stia accorgendo solo ora che gli “strumenti a disposizione”, ovvero le tecnologie necessarie a guidare il pianeta verso un futuro a basse emissioni di carbonio, sono detenute da un solo paese. Un paese controllato da una dittatura spietata il cui esercito represse sparando con fucili e carri armati sulla folla inerme, uccidendo un numero, mai rivelato, di studenti, intellettuali e operai, che riflettevano le preoccupazioni di parte della popolazione per la corruzione e per la mancanza di sufficienti libertà di stampa e di espressione.

È il paese che ha cancellato piazza Tienanmen dai suoi libri di storia quello da cui, secondo una Commissione Europea palesemente inadatta al ruolo dipenderemo per le materie prime necessarie allo sviluppo degli “strumenti a disposizione” per raggiungere la neutralità carbonica. Una dipendenza, secondo la stessa Commissione, che potrebbe rivelarsi peggiore da quella dai combustibili fossili. Se è la Cina che ci fornirà gli “strumenti a disposizione” che dovrebbero salvarci dalla catastrofe climatica incombente, a maggior ragione è opportuno analizzare con maggior attenzione le fonti del determinismo climatico.

Non possiamo costruire il futuro, e nemmeno prevederlo, possiamo solo ipotizzarlo e qualunque ipotesi, pur dotata di fondamento, resta un’ipotesi. Possiamo ipotizzare che l’attuale tendenza dell’aumento delle temperature sia in qualche misura opera dell’uomo. Ma definire l’entità dell’influenza antropica è ben altra cosa. E’ possibile e probabile che una parte che parte del surriscaldamento osservato sulla superficie terrestre sia imputabile alle attività umane ma è anche possibile che la causa vada da ricercarsi nello sfruttamento del territorio e delle risorse più che nella componente atmosferica.

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