Metti la nonna in freezer – La recensione
L’Italia contemporanea avanza sbuffando e sferragliando come una vecchia locomotiva, in piena mutazione genetica come la surreale Barbara Bouchet camuffata da vecchietta belante. Metti la nonna in freezer, di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi (in sala dal 15 marzo, durata 100’) è una commedia vestita di nero e di paradossi che non di rado riesce a divertire con rapide, impreviste (e forse insperate) incursioni demenziali e qualche ingegnosità nella regia. Il risultato è apprezzabile, lo humour diffuso con moderato equilibrio nel segno di un “politicamente scorretto” diluito dai sentimenti e forse scagionato dalla necessità.
Lui imbranato, lei diffidente: e il gioco è fatto
L’accostamento sarà pure irrispettoso e perfino sacrilego. Ma Pane amore e fantasia e relative code (comenciniane e risiane) non sono tanto distanti, per logiche, ispirazioni (soprattutto) e dinamiche narrative semirovesciate, da quel che in Metti la nonna in freezer i viral-multimediali Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi organizzano nella progressione dell’approccio amoroso tra il maresciallo della Guardia di Finanza Simone (Fabio De Luigi) e la restauratrice Claudia (Miriam Leone).
Lui incorruttibile e stakanovista quanto imbranato con le donne, lei bella e problematica quanto diffidente verso gli uomini nonché appesa, per sopravvivere, alla pensione di nonna Birgit che Barbara Bouchet, trasformata in rugosa vegliarda da sex-symbol che era, incarna senza battere ciglio.
Quella decisione sciagurata e un po’ macabra
Tanto che per conservarla, quella pensione, quando la nonna passa a miglior vita non resta a Claudia che la scelta estrema e un po’ macabra di occultarne morte e corpo scaraventandola nel freezer, pure aizzata dalle amiche Rossana e Margie (Lucia Ocone e Marina Rocco) che lavorano per lei ai restauri e temono di perdere lo stipendio.
Così, quando le incursioni domestiche del finanziere, nel frattempo innamorato di Claudia e a poco a poco ricambiato con ardore si intensificano, quel surgelato trattato come un salmone diventa sempre più ingombrante, imbarazzante e pericoloso, aprendo la via all’inevitabile tumefarsi di equivoci, espedienti e simulazioni (ci si mette perfino l'antico spasimante Augusto (Eros Pagni) arrivato da Bordighera a incasinare ulteriormente le cose) senza troppo remare contro le attese dei due cuori palpitanti.
Qualche trovata per evitare le convenzioni di genere
Si citava Comencini. Non c’è il Centroitalia di ieri ma un ambiente alpestre contemporaneo; niente carabinieri ma finanzieri; né Bersagliera né levatrice ma una restauratrice indotta alla frode; naturalmente non De Sica e Lollobrigida; poi la crisi che costringe a nascondere le nonne morte.
Per come il film è girato, niente di anonimo e convenzionale in ogni caso, nella coincidenza tra il tradizionale braccarsi fra sentimenti e quei modi un po’ diversi di rappresentarlo, privilegiando la cifra grottesca e talvolta l’effetto strategicamente elementare agli atossici esiti narrativi di genere.
Scelte felici nel funzionale repertorio di musiche
Una bella mano, va detto, lo dà anche il repertorio di musiche scelte per accompagnare con buona funzionalità scene e raccordi: nel gusto sottile degli autori c’è spazio tra i tanti per la magnifica Moriarty di Jimmy, per i Timber Timbre del folk strapazzato e freak di Demon Host, per l’elettrico Pete Townshend, per gli stazzonati Hollies, per simboli storici come The Mamas & the Papas.
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