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October 16 2012
Una volpe, Veltroni. Ha innescato un inverecondo balletto fra D’Alema e Bersani a tutto vantaggio di Renzi.
“Propendo per non candidarmi, potrei farlo se me lo chiede il partito…”. Così, in sintesi, aveva detto D’Alema, incalzato dalla rinuncia a sorpresa dell’eterno rivale a candidarsi ancora una volta alla Camera. Un annuncio che sta provocando lo smottamento dei vertici del PD, forse il crollo di un altro muro: quello tra i giovani e il vecchio gotha che siede in Parlamento grazie alle deroghe al tetto massimo di tre legislature (15 anni) imposto dalle regole interne. Regole che però sembrano fatte per le eccezioni, come nella orwelliana “Fattoria degli animali” (dove sono tutti uguali, ma alcuni sono “più uguali degli altri”). Finché non è arrivato il rottamatore. Veltroni ha annusato l’aria e si è chiamato fuori, portando acqua al mulino di Renzi. In un colpo solo ha lasciato in braghe di tela Bersani che sperava di vincer le primarie con il sostegno dei big, il vecchio D’Alema e tutta la filiera dei dinosauri, da Rosy Bindi alla Finocchiaro fino a Franco Marini, spiazzati e ridicolizzati.
D’Alema dunque ha detto: “Sia il partito a candidarmi”. Ma Bersani se n’è lavato le mani, come Ponzio Pilato incapace di crocifiggere il condannato come di salvarlo. Come faccio sbaglio, si sarà detto. E alla domanda se avrebbe chiesto a D’Alema di candidarsi, ha risposto che non lo chiederà, dev’esser lui a fare un passo avanti. “Non gli chiederò di candidarsi, io non chiedo a nessuno di candidarsi. Io non sono quello che nomina i deputati. Io farò applicare la regola: chi ha fatto più di 15 anni, per esser candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale”.
D’Alema annuisce facendo buon viso a cattivo gioco: “Ha ragione, infatti non mi ero rivolto al segretario, ma al partito”. Svicola però alla domanda se la chiederà, questa deroga. “Mancano mesi…”.
Che guaio dover prendere posizione. Per D’Alema come per Bersani. Che ha già dovuto scegliere di allearsi con il “sinistro” Vendola e dire “no” al Monti-bis, inimicandosi Veltroni e suscitando un principio di rivolta tra i popolari ex dc alla Fioroni. Dopo la rinuncia di Walter, la scelta che dovrà fare Bersani è ancora più delicata: pro o contro D’Alema, con effetti sulle primarie che lo vedono contrapposto a Renzi.
L’aspirazione di Bersani sarebbe quella di tenere tutti insieme: i notabili che lo appoggiano e un Renzi sconfitto alle primarie, chiamato a sostenere la candidatura del segretario pd a Palazzo Chigi. Lo stesso Bersani nutre la segreta aspirazione a essere lui il “rottamatore” del partito a costo zero, lui che non ha 15 anni di legislatura (a lungo presidente dell’Emilia Romagna) e non è poi così anziano (57 anni come Veltroni). Adesso i suoi margini di manovra si sono ristretti. D’Alema chiede di essere candidato ma gli fa eco un silenzio assordante: nessuno lo vuole. Muti i compagni. La rinuncia alla candidatura ha rimesso in gioco proprio il rinunciatario ma non remissivo Veltroni, trasformandolo nel possibile ago della bilancia e “kingmaker” di Renzi. Se Bersani si esporrà contro la deroga per D’Alema, perderà nelle primarie il sostegno dei big; se invece la accoglierà, perderà un’altra mano con lo sfidante, e Renzi con maggior lena potrà portare avanti la battaglia per il rinnovamento.
E così torniamo alla riproposizione dell’annoso duello Veltroni-D’Alema, con Bersani nei panni della vittima che non ha nulla da guadagnare, Renzi come potenziale beneficiario che non ha nulla da perdere, e Veltroni stesso che ha magistralmente inserito un bel cuneo nel patto Bersani-D’Alema e al quale non resta che far lavorare la zizzania magari tornando in campo al momento giusto, nella veste più adatta.