Mi chiamo Lucy Barton, il nuovo romanzo di Elizabeth Strout

Ciascuno di voi ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi, per la storia. Tanto ne avete una sola.

(Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton)

Ciascuno di noi vive solo le proprie esperienze, anche se siamo portati a immaginarle e raccontarle in tanti modi diversi. Quando si incontra un buon libro e capita di sentirle toccate da una parola, una situazione, una sensazione che ce le fanno scoprire vicine a quelle di tanti altri esseri umani, tra il lettore e la scrittura avviene qualcosa di magico. E’ quello che succede leggendo i libri di Elizabeth Strout: non si può fare a meno di pensare che quest’autrice, vincitrice del premio Pulitzer per la letteratura nel 2009 con Olive Kitteridge, stia parlando proprio di noi, di qualcosa che abbiamo vissuto e provato.

In Mi chiamo Lucy Barton, in sole 160 pagine, il racconto della vita della protagonista tocca i sentimenti più vari: amore, tristezza, nostalgia, dolore, felicità, trasmettendoci l’ineluttabile certezza della solitudine in cui vive ogni essere umano. La storia ruota intorno all'incontro di Lucy, immobilizzata in un letto in seguito a un'infezione dovuta a un intervento chirurgico, e sua madre, giunta al suo capezzale per vegliare su di lei. Le due donne non si vedono da molti anni e hanno sempre avuto un rapporto difficile. Durante i cinque giorni in cui vivono nella stessa stanza, a New York, osservate dal maestoso grattacielo Chrysler che scintilla oltre il vetro, ricompongono la loro relazione. Ad accomunarle non sono, però, le parole, ma le lunghe pause di cose non dette, interrotte dalle chiacchiere basate sui pettegolezzi intorno alle conoscenze comuni. Nel buio delle notti insonni, Lucy riannoda i fili della sua storia: l'infanzia di miseria e privazioni ad Amgash, in Illinois, l'affrancamento dalla sua famiglia, grazie alla scrittura - che è diventata la sua professione - e la vita del presente, accanto a un marito e a due figlie da crescere. Una ricongiunzione con le proprie origini tanto dolorosa quanto necessaria, guidata dalla "spietata" consapevolezza di chi ha imparato a conoscersi bene; sapendo che anche lei, senza volerlo, deluderà qualcuno nella propria vita e ne porterà addosso le conseguenze, come accade a tutti noi.

Tante le frasi di questo libro che toccano nel profondo:

 "Conosco troppo bene il dolore che noi figli ci stringiamo al petto, so che dura per sempre. E che ci procura nostalgie così immani da levarci perfino il pianto".

 "Deve essere il sistema che adottiamo quasi tutti nel mondo, sapendo e non sapendo, infestati da ricordi che non possono assolutamente essere veri. La vita sembra fatta di ipotesi”.

“È il fondo del barile di chi siamo, questo bisogno di trovare qualcuno da snobbare”.

Una storia breve e potente sulla condizione umana, scritta con parole capaci di lasciare senza fiato.


Elizabeth Strout

Mi chiamo Lucy Barton

Einaudi, 2016, 160 p.


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