Lifestyle
September 25 2024
Piglio smagliante e fascinoso, come i personaggi ambigui e cangianti che più volte si è messo addosso, Michael Douglas è il figlio d’arte che brilla di luce propria. E non era facile, avendo alle spalle una leggenda del cinema come Kirk Douglas. Sua mamma, invece, è l’attrice britannica Diana Dill. E pensare che proprio papà Kirk non voleva che il figlio ne seguisse le orme, credendo che non fosse adatto all’industria cinematografica. E invece, due Oscar e quattro Golden Globe vinti, ruoli memorabili consegnati alla storia del cinema, non solo attore ma anche produttore che sa fiutare cult (vedi Qualcuno volò sul nido del cuculo), Michael Douglas è diventato lui stesso icona di Hollywood.
Meno carismatico del padre, indimenticato Spartacus, Michael non ha puntato sul modello classico di eroe protagonista, ma piuttosto su personaggi imperfetti e umani. Da detective sexy, con la presunta assassina ancor più sexy Sharon Stone, nel rovente thriller erotico Basic Instinct (1992), a vecchio scienziato da regno quantico per la saga Marvel di Ant-Man oggi, da poliziotto corrotto in Black Rain - Pioggia sporca (1989) a istrionico pianista gay in Dietro i candelabri(2013), Michael Douglas ha esplorato e sondato. Riuscendo a far diventare anche i personaggi più antipatici così simpatici e avvincenti.
Oggi che compie 80 anni, celebriamo Michael Douglas ripercorrendo i suoi film più belli, secondo noi.
Cupido, manipolatore, magneticamente egocentrico. E spietato. Ovvero: Gordon Gekko, il villain per eccellenza che non finge mai di essere un bravo ragazzo, non trema mai di scrupoli e dubbi morali. È l’incarnazione dell’avidità. È il personaggio più emblematico di Michael Douglas, che in Wall Street, da squalo della finanza, fa da mentore al giovane broker interpretato da Charlie Sheen. Oscar e Golden Globe come migliore attore protagonista per lui: un vero rapace.
Il discorso sull’avidità? Da brividi. «L'avidità, non trovo una parola migliore, è valida. L'avidità è giusta, l'avidità funziona, l'avidità chiarifica, penetra e cattura l'essenza dello spirito evolutivo. L'avidità in tutte le sue forme: l'avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l'umanità».
Una tragicommedia cupa e divertente - quando non inquietante - sul divorzio e sulla fine dell’amore. Michael Douglas tira a lucido una delle sue migliori interpretazioni, accanto a Kathleen Turner. Sono marito e moglie di una felice famiglia americana borghese, che però precipita nell’odio e nel darsele di santa ragione, tra vette farsesche ed esagerazioni che poi non esagerano così tanto. Ognuno è deciso a non mollare la bellissima villa comune, a costo di mandarla in rovina.
De Vito sorprende come regista e si ritaglia il piccolo ruolo di avvocato divorzista, andando a ricomporre ne La guerra dei Roses (The war of the Roses) il trio dei due fortunati film d'avventura All'inseguimento della pietra verde(1984) eIl gioiello del Nilo (1985).
Una satira deflagrante che anche qui ha a che fare con l’avidità. Per Douglas una nomination ai Golden Globe.
In Un giorno di ordinaria follia (Falling down) Michael Douglas è l’uomo qualunque (D-Fense) che all’improvviso rompe gli argini in un fosco affresco dell’alienazione sociale. Perso il lavoro, lasciato dalla moglie, quando rimane bloccato in mezzo al traffico di Los Angeles, molla l’auto nell’ingorgo e si inoltra nel paesaggio urbano, tra crudi incontri e frustrazione soverchiante, in un vorticoso crescendo di violenza.
Film scomodo e tuttora attuale, inquadra la menzogna del Sogno americano. Douglas, con i capelli dal taglio militare, è l’antieroe che porta addosso il malessere di un’epoca.
In un thriller contro il nucleare dal buon ritmo, Jane Fonda è una giornalista e Michael Douglas (che è anche produttore del film) è il suo cameraman. Sono testimoni involontari di un incidente a una centrale nucleare in California.
Superbo Jack Lemmon, che interpreta il supervisore dell'impianto, che inizia a sospettare che la centrale violi gli standard di sicurezza, anche se i suoi allarmi vengono ignorati. È stato premiato per la migliore interpretazione maschile a Cannes.
Uscì nelle sale americane il 16 marzo 1979, dodici giorni prima dell'incidente nucleare di Three Mile Island, in Pennsylvania, che diede al film un'inaspettata aura di preveggenza.
Così come Basic Instinct, Attrazione fatale fu un poderoso successo commerciale. Thriller psicologico sensuale e avvincente, che sul finale deraglia sul melodramma, è un cult che ha saldato addosso a Glenn Close l’etichetta di villain per eccellenza.
Michael Douglas è l’attraente avvocato newyorchese che tradisce la moglie (Anne Archer) con la dirigente di una casa editrice (Close). Dopo la scappatella, invece di sparire e di lasciarlo alla sua famigliola, lei diventa una pericolosa e incessante presenza. Una vera e propria persecuzione. Il lato torbido dell’eros.
Della sua incredibile capacità di far apprezzare dal pubblico anche uomini deprecabili, Douglas ha raccontato: «Ero a una proiezione di Attrazione fatale. Nel film ero uscito con Alex Forrest, poi ero tornato a casa la mattina dopo e avevo dovuto smuovere le coperte del letto, così che mia moglie pensasse che avessi dormito a casa. Il pubblico rise e la produttrice Sherry Lansing disse: "Non ci posso credere. Ti hanno già perdonato". Forse è perché, nella mia cattiveria, il pubblico riesce ancora a vedere che c'è una lotta e un'ambivalenza nel fare la cosa giusta, quindi non sono intrinsecamente solo una persona violenta e cattiva».
Lyne è anche il regista degli altri cult Flashdance (1983) e 9 settimane e ½ (1986).