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(Ansa)
Salute

Le microplastiche le abbiamo anche nel sangue

Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine che ha coinvolto più di 250 persone ha certificato la presenza di microplastiche nel sangue di esseri umani e un conseguente aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Ci troviamo dunque di fronte all’amara certezza che le microplastiche possono viaggiare nel sangue, aumentare il rischio di malattie cardiache e perfino depositarsi negli organi interni.

Le persone sotto studio erano state sottoposte a intervento chirurgico per rimuovere l’accumulo di placca dalle arterie che forniscono energia al cervello. Più della metà (58 per cento) di questi pazienti avevano microplastiche, o anche nanoplastiche più piccole, in queste arterie principali e rivelavano cuna probabilità 4,5 volte maggiore di subire un infarto, un ictus o la morte nei circa 34 mesi successivi all'intervento rispetto a quelli le cui arterie erano prive di plastica.

Oltre all’aumento del rischio di infarto o ictus, i ricercatori hanno anche scoperto che i soggetti con microplastiche nei campioni di placca avevano livelli più elevati di biomarcatori dell’infiammazione. Al momento, per prudenza, i ricercatori hanno sottolineato che lo studio non dimostra che le microplastiche causino direttamente infarto o ictus, ma solo che esiste una potenziale relazione.

Una ricerca prcedente aveva analizzato campioni di sangue provenienti da 22 donatori anonimi, tutti in buona salute, e ha trovato che in 17 di questi campioni vi erano microgranuli di plastica. Metà di essi contenevano plastica PET (polietilene teraftlato), che è quella usata comunemente nelle bottiglie contenenti bevande e un terzo contenevano polistirene, usato come materiale di imballaggio di cibi. Il polietilene, per intenderci quello delle buste di plastica, era presente in un quarto dei campioni. La ricerca non considerava altri tipi di plastica. Dunque, future ricerche che includessero ulteriori polimeri potrebbero far salire la percentuale di positività alla plastica.

Lo studio forniva come concentrazione media della somma di tutte le microplastiche nel sangue il valore di 1,6 microgrammi per millilitro. Le più piccole dimensioni delle particelle rivelate erano di 0,0007 millimetri. Le differenze tra i campioni riguardanti il tipo di plastica presente nel sangue suggeriscono probabili esposizioni ai polimeri poco prima del test, forse dettate dallo stile di vita. Per esempio, bere alla bottiglia una bibita o bere un caffé in una tazzina di plastica o altro ancora.

Dati questi risultati, il problema è che ci sono molte cose che non sappiamo. Per esempio, quali possono essere le conseguenze di un accumulo di microplastica in un organo? E in quali organi si può avere un accumulo? La plastica può oltrepassare la barriera emoatoencefalica così da raggiungere il cervello? Sbbene non abbiamo ancora una risposta certa a queste domande sappiamo che in vitro le microplastiche danneggiano le cellule e che le polveri sottili causano milioni di morti premature ogni anno.

Un altro studio precedente sulle feci dei neonati rivelava che le microplastiche erano contenute in quantità dieci volte maggiori che nel sangue degli adulti. A quanto pare, i bambini che bevono in bottiglie, biberon e contenitori di plastica ingeriscono milioni di particelle di microplastica al giorno. Allo stesso modo, gli adulti ingeriscono microplastiche prodotte svitando il tappo delle bottiglie di plastica.

A questa scoperta se ne aggiunge un’altra recente che ha del terrificante. La si potrebbe descrivere né più e né meno che così: la plastica è divenuta parte integrante del processo geologico, tanto che nell’arcipelago di Trindade e Martim Vaz, nell’oceano Atlantico meridionale, sono state rinvenute rocce i cui granuli sedimentari si mescolano a microplastiche formando un tutt’uno, che la rivista Nature ha chiamo “plastiglomerato”. In quell’area, le reti e altri materiali da pesca si accumulano sulle spiagge grazie alle correnti. Quando la temperatura sale, la plastica si scioglie e si mescola a materiali di origine naturale presenti nella spiaggia e diviene parte del ciclo geologico.

Quando ci si riferisce a quest’epoca come Antropocene, termine suggerito dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, per indicare la capacità dell’uomo di essere un attore globale, capace di incidere profondamente sui processi naturali della Terra, si allude generalmente alle emissioni di anidride carbonica e ai cambiamenti climatici conseguenti. Tuttavia, questi studi suggeriscono che il ruolo delle plastiche non è meno importante dato che non solo altera la catena alimentare ma perfino i processi geologici, che hanno scale temporali lunghissime.

Con le plastiche l’impronta umana sarà probabilmente rintracciabile nelle rocce della Terra a distanza di millenni. Cosa fare? Occorre prima di tutto non immettere plastica nell’ambiente e maggiore controlli per un tipo di reato spesso troppo tollerato. Ci vogliono anche sistemi di filtrazione più efficienti negli elettrodomestici e nei processi industriali. Per la plastica si potrebbe parafrasare il celebre detto “il male fatto ritorna sempre indietro”. La plastica che buttiamo ritorna divenendo parte delle rocce, delle piante e perfino di noi stessi.

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