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January 11 2022
Sono gocce d’eterno quelle che stillano da un alambicco. C’è dentro un enigma mai risolto: «aqua vitae», cioè acqua della vita, o più semplicemente acqua di vite? In questo interrogativo c’è l’inebriante mistero della grappa frutto della ricerca alchemica della quintessenza.
Dopo l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra si è sempre cercato lo spirito. E la grappa è lo spirito. Che ormai, e per fortuna, si è tolta quella patina di trasgressione da osteria per riconquistare il posto che merita: nello scaffale della cultura. Martin Lutero usò l’alambicco come metafora del giudizio universale. Un medico di altissima fama nel Quattrocento, Michele Savonarola, nonno di Girolamo, il domenicano gran censore dei fiorentini finito al rogo in piazza della Signoria, col suo trattato De conficienda aqua vitae sviluppò il concetto che quell’umore concentrato dal vino era l’afflato universale. Leonardo da Vinci fu il primo a intuire che il raffreddamento ottimale era far scorrere acqua fredda nelle pareti del distillatore. La grappa, che è un primato italiano, è stata medicamento e magia, oggi è uno dei più raffinati spiriti, madre di tutti gli altri.
C’era prima del whisky, della vodka, del gin che condivide col nostro spirito patriotico l’origine medicinale. L’accresciuta consapevolezza del valore di questo distillato ha ridato spazio agli artigiani della «cucurbita» (la parte dell’alambicco che si espone al fuoco) che prosperano accanto ai nomi di industrie a cui si deve la tenuta della grappa.
La famiglia Nonino ha ridato dignità e blasone, Bonaventura Maschio ha percorso la strada del distillato d’uve, Bonollo l’ha diffusa, Marolo l’ha qualifica, Castagner l’ha fatta rivaleggiare con i distillati di cereali, e Marzadro l’ha resa raffinata. Berta, Capovilla, Sibona e Piasì sono atelier dell’alambicco.
Ma un pensiero speciale va a Gino Barile, 89 anni, che a Silvano d’Orba ha una distilleria archetipica: due alambicchi che a bagnomaria dall’800 distillano ricevendo calore da un fornello a legna. Gino ha inventato la festa della grappa. È diventato grappaiolo per scelta. Costruiva le navi a Genova, ma s’innamorò dell’umore e oggi confida: «Ho speso i miei anni cercando l’essenza della vite che in fondo è la ragione della buona vita». Da Barile ci sono solo grappe d’annata: la più giovane è la bianca, ma non prima di cinque anni d’affinamento. La più rara è la over 40 che ha dormito per almeno 480 mesi in piccoli fusti di rovere.
La ragione? «Per fare una grande grappa devi misurare il tempo con la clessidra delle gocce e solo il tempo restituisce il valore dello spirito». Parola di Gino.
Un altro sancta sanctorum dell’alambicco è a Bassano del Grappa. Lì, all’imbocco del ponte di legno, c’è la grapperia Nardini. Certo oggi quella distilleria è un’industria, ma Bartolo Nardini alla fine del Settecento fu il pioniere della distillazione e per quasi tre secoli «Nardini» ha significato evoluzione della grappa. È a Bassano che si sono fatte le prime distillazioni in colonna col vapore. Pochi sanno che il futuro della grappa oggi è in mano alle donne quasi che fossero le vestali di un processo alchemico. Una giovanissima ed espertissima è Priscilla Occhipinti forse l’unica ad essere «maestro distillatore» con tanto di patente per la «conduzione d’impianti a vapore». Ha imparato tutto da Gioacchino Nannoni, il distillatore delle grappe di Brunello di Montalcino che ha vinto il vincibile al mondo e ha inventato le grappe dalle vinacce dei vini famosi. Le bottiglie di Nannoni sono inarrivabili per complessità e morbidezza e visitare la distilleria di Civitella Paganico è emozionante.
C’è un altro mastro distillatore che ha cominciato a fare le grappe dei grandi vini è Jacopo Poli, erede di una tradizione plurisecolare. A Schiavon, nel Vicentino, ha allestito anche un affascinante museo della Grappa e il suo «spirito» di Amarone è una meraviglia.
Un posto speciale però spetta ad Antonella Bocchino. Le sue grappe si chiamano Selezione AB e sono un’antologia dei moscati d’Italia. Da quello di Alessandria a quello di Trani passando per lo Zibibbo. «Per me la grappa è l’anima» dice Antonella Bocchino «vado cercando in quello spirito la ragione della mia vita. Faccio anche liquori al cacao, alla mela e alla menta per curare la mixology. Oggi la grappa è diventata a livello mondiale la carta in più che i massimi bar tender usano per creare cocktail innovativi».
La sua storia di grappa e di vita Bocchino l’ha raccontata in un romanzo struggente. S’intitola Miranda, per grappa ricevuta (Edizioni Albatros). È la storia di sua nonna che Carlo Bocchino incontra in Cile dove è andato a progettare la ferrovia Transandina. È lì che capisce che può creare la grappa di Moscato e Miranda lo accompagnerà in Italia raccogliendone poi l’eredità. «Ho trovato le lettere d’amore in un baule, ho scritto la storia di questi due pionieri che sono le mie radici. Grazie alla forza di lei Carlo matura la convinzione di poter fare la prima grappa monovitigno. Una scelta che cambiò la loro vita per sempre e li fece tornare in Italia, a Canelli, al confine tra Monferrato e Langhe. È il romanzo della scoperta dell’essenza: «La grappa è cultura e spirito». Della vite o della vita: fate voi. n
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