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August 23 2018
Commentando il caso della nave Diciotti il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha proposto una soluzione per la gestione dell'allarme profughi in Italia. "Il mio obiettivo è il No Way australiano. Sulla Diciotti sono tutti immigrati illegali. L'Italia non è più il campo profughi d'Europa. Con la mia autorizzazione non scende nessuno".
Ma in cosa consiste il modello australiano?
Dal 2013 il nuovo governo del conservatore Tony Abbott ha iniziato l'operazione "No Way", strategia politico-militare con l'obiettivo di respingere tutti i migranti che arrivano in Australia illegalmente dal mare. Il piano è stato veicolato dallo slogan "No Way", letteralmente "scordatevelo" con un video dove il generale Angus Campbell spiega le nuove regole.
Il piano "No way" si può dividere in priorità:
Secondo il governo di Canberra prima dell'inizio del piano "No Way", nel 2013 in Australia erano arrivati oltre 20 mila migranti in un solo anno. 365 giorni dopo gli arrivi sono invece diventati 1350.
Il piano australiano è però finito nel mirino delle Nazioni Unite che accusano il governo di non effettuare sufficienti controlli per esaminare le richieste di asilo, una pratica rigida che "rende quasi impossibile ottenere un permesso di soggiorno". Il piano "No way" è stato più volte condannato anche dall'Indonesia, il paese da dove proviene la maggior parte dei migranti che arrivano in Australia. Secondo il governo di Giacarta le unità militari australiane hanno violato più volte le acque territoriali indonesiane per abbanondare le imbarcazioni. Canberra ha risposto dicendo che "nessun migrante ha perso la vita nelle operazioni di respingimento".
La prima perplessità sull'idea di proporre un modello australiano in Italia è di natura economica. Secondo una commissione del parlamento australiano le spese del piano "No Way" ammontano ad oltre 400 milioni di euro l'anno, quattro volte di più del piano Mare Nostrum. Inoltre bisogna considerare che l'Italia ha un flusso di migranti di dieci volte superiore a quello australiano. Altro ostacolo enorme è che l'Italia non ha accordi diplomatici come quelli che l'Australia ha sottoscritto con i suoi vicini di Papua Nuova Guinea e dell’isola di Nauru, dove sorgono i centri di identificazione. Per un modello australiano servirebbe infatti un paese "amico" che possa "riprendersi" le navi partite. Potrebbe essere la Libia? Difficile, soprattutto considerando la forte instabilità politica del paese nordafricano, diviso tra due governi rivali e in balia di gruppi terroristici e milizie difficili da gestire.