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June 25 2018
Il mini vertice di Bruxelles di domenica 24 giugno era informale, cioè era a salve. Per questo poteva fallire, com’è puntualmente accaduto, rimandando alla prossima riunione formale (giovedì prossimo?) i nodi reali.
Ad essere rimandato è stato il governo italiano perché, questo il messaggio dei partner europei, tre teste al comando rendono un esecutivo acefalo.
Mai come in queste settimane l’Italia e il suo leader effettivo, Matteo Salvini, hanno inverato il detto di Henry Kissinger: per certi paesi la politica estera si riduce alla politica interna. Ed è quello che Macron e gli altri leader europei non stanno perdonando all’indomita Italia verde-giallo.
Un paese che ha recapitato dentro e fuori i propri confini messaggi inequivocabili quanto a cifra politica: censimenti su base etnica (incostituzionali), respingimenti di migranti in alto mare (illegali), impronte digitali per i dipendenti pubblici, epurazioni di raccomandati, protezionismo commerciale, taser alle forze di polizia, multe a chi compra dagli ambulanti, e così via. Ma non c’è solo il bastone, c’è anche la carota di un condono fiscale per le cartelle ancora aperte.
Tutte queste scelte o ipotesi, legittimate dal voto del 4 marzo, sono finite all’altrettanto legittimo vaglio dell’Europa. Il biglietto da visita dell’Italia sovranista e desiderosa di treni puntuali non poteva piacere a Emmanuel Macron, e nemmeno alla Germania.
Tanto Parigi quanto Berlino nutrono la stessa preoccupazione verso Roma, ma sembrano essersi divise il compito: se Macron risponde colpo su colpo agli attacchi polemici italiani, Angela Merkel interpreta il poliziotto buono e cerca il dialogo rassicurante.
L’intesa è tuttavia lontana. L’idea di cerare hotspot in Libia e in Niger, territori che le autorità nazionali faticano a controllare, è velleitaria. E dare a Macron del “nemico numero uno” dell’Italia, come ha fatto Di Maio, non può aiutare alcun dialogo costruttivo.
Nei dieci punti italiani presentati a Bruxelles in bozza vi sono, è vero, cose sacrosante: come il superamento-adeguamento di Dublino e della norma di porto di prima accoglienza; ma proprio adesso occorre un’Italia diplomaticamente autorevole per ottenere risultati oggettivi al tavolo negoziale.
Salvini e Di Maio dovrebbero quindi capire che con simili esternazioni - concepite per scavalcare sistematicamente il Premier Giuseppe Conte o il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, ma anche col ricatto umanitario di navi lasciate in alto mare al proprio destino - l’intesa coi partner europei si allontana e l’immagine internazionale del Paese si offusca.
L’Europa osserva preoccupata anche la crisi drammatica delle opposizioni italiane dell’area di sinistra, travolte nelle urne. La prima strategia individuata dopo il voto, quella renziana dei popcorn e delle conferenze all’estero è nata morta, perché mentre si sta in poltrona Roberto Saviano rischia di perdere la scorta e gli italiani alcuni diritti fondamentali.
Dopo poche settimane di governo la cifra eversiva dell’impeachment minacciato contro Sergio Mattarella assume allora contorni ben diversi dalla giravolta d’avanspettacolo che fece sorridere il Paese.
L’Italia sovranista, anche se manda avanti un premier sartoriale come Conte, oggi è tutta nelle ombre minacciose che Salvini e Di Maio gettano sull’Europa.