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July 24 2019
«We play the game per arrivare in Italia» urlano in coro i bengalesi, una ventina in marcia con zaino in spalla, sacco a pelo e borse della spesa colme di viveri. «Il gioco», come lo chiamano in gergo i migranti nella Bosnia nord-occidentale, è attraversare il confine croato a pochi chilometri, evitare di venire presi e rispediti indietro dai durissimi poliziotti di Zagabria per proseguire in Slovenia. E arrivare a Trieste, il capolinea del «gioco», che riesce al primo colpo solo al 10 per cento dei migranti. Gli altri ci riprovano anche venti volte fino a quando ce la fanno a raggiungere l’Italia. «Negli ultimi due anni abbiamo registrato il passaggio di 20 mila migranti. In questo momento sono in 5 mila» spiega l’ispettore Ale Siljdedic, portavoce della polizia del cantone di Bihac. L’angolo più a ovest della Bosnia, che confina con la Croazia, ovvero l’Unione europea. In tutto il Paese ci sarebbero circa 10 mila migranti soprattutto pachistani, bengalesi, maghrebini e afghani. «Ne arrivano 100 al giorno» ammette Siljdedic.
Il gruppetto di bengalesi è appena partito dal campo di Miral a Velika Kladus˘a, la cittadina più settentrionale della Bosnia a un passo dal confine croato. Il centro di accoglienza messo in piedi con i soldi europei conta 551ospiti ed è gestito dall’Iom, la costola dell’Onu per le migrazioni. «Ogni notte tentano il “gioco” da 70 a 130 migranti» racconta una delle guardie di sicurezza.
I bengalesi raggiungono a piedi la stazione degli autobus di Velika Kladus˘a, dove qualche autista compiacente li carica su delle navette facendo pagare il doppio del prezzo normale del biglietto. Poi li scarica vicino a uno dei 75 passaggi di confine non presidiati lungo la porosa frontiera con la Croazia. Se la polizia bosniaca incrocia il minibus, protesta un po’ con l’autista e poi lascia andare tutti, compresi i clandestini, che scendono e si rimettono in marcia lungo la strada asfaltata che porta al confine.
A un chilometro dalla frontiera si infilano nei campi e, con il calare del sole, trovano un nascondiglio nelle case diroccate della zona in attesa di iniziare «il gioco» del gatto e il topo con la polizia croata. «Arrivano ogni notte a decine e tentano la sorte, ma i croati hanno le camere termiche puntate sul confine. Quando li prendono li riempiono di botte rispedendoli indietro» dice Edin Brkic. È un bosniaco di Bojna, che parla perfettamente italiano dopo aver lavorato in Friuli-Venezia Giulia come muratore per anni. Il valico non sorvegliato è bloccato da una sbarra, un cumulo di terra e un pennone con la bandiera a scacchi croata, ma i migranti si addentrano nella «giungla», come chiamano la foresta del nord-ovest della Bosnia. E attraversano un fiumiciattolo a 500 metri dal rifugio nelle case diroccate. «Per evitare le camere termiche, che rilevano il calore umano, qualcuno si fa scudo con lastre o si avvolge con coperte di emergenza in alluminio» fa notare il gioviale Brkic.
I croati usano anche droni, elicotteri e visori notturni per fermare i migranti e vanno per le spicce. Due libici avanzano lentamente e zoppicando lungo la principale strada dalla Croazia a Velika Kladus˘a. «Ci hanno riempito di botte e fracassato i telefonini. Noi volevamo andare in Italia, ma urlavano “non dovete entrare in Croazia”» racconta Mohammed Amin, che viene da Bengasi.
Ai migranti i croati portano via le scarpe, lasciandoli in ciabatte, e sequestrano zaino e vestiti come deterrente. La barriera tecnologica funziona e pure per il confine italo-sloveno esistono piani di utilizzo di radar terrestri «Ranger», che possono individuare passeur e migranti nel raggio di 10 chilometri, camere termiche e visori notturni. Tecnologia già utilizzata dal nostro esercito nelle missioni all’estero.
«Esiste una rete di trafficanti e contatti dal Paese d’origine dei migranti fino all’Italia» racconta Siljdedic. La Turchia ha bloccato dall’inizio dell’anno oltre 100 mila migranti siriani, afghani, pachistani, bengalesi e indiani grazie all’accordo da 6 miliardi di euro con l’Unione europea, ma molti riescono a infilarsi lo stesso lungo la rotta balcanica. Prima arrivano in Grecia, poi in Macedonia e alla fine in Serbia, principale porta d’ingresso verso la Bosnia. «I serbi li lasciano passare mandandoli verso ovest» spiega Paola Lucchesi, un’italiana che vive a Bihac. «Guardate le immagini postate su Facebook in questi giorni dell’assalto alla stazione degli autobus di Tuzla dei migranti appena arrivati, che vanno a Sarajevo». E poi prendono pure il treno per raggiungere quel «tappo» che è il cantone di Bihac sulla frontiera con la Croazia.
Il costo medio del «gioco» fino all’Italia, compresi i passeur, è di 2 mila euro. Molti pachistani e bengalesi spendono solo 500 euro, ma percorrono tutto il tragitto di 230 chilometri a piedi dormendo di giorno e marciando di notte. Qualcuno che può permetterselo paga fino a 5 mila euro un taxista compiacente da Zagabria e arriva fino a Trieste.
I percorsi e passaggi delle frontiere vengono tracciati con i telefonini dal sistema Gps, grazie a Google maps e inviati ai migranti in attesa in Bosnia da chi ce l’ha fatta a raggiungere l’Italia. La Croce rossa bosniaca distribuisce le mappe con i campi minati della guerra nell’ex Jugoslavia sulla frontiera croata non ancora bonificati.
«Questo è il “gioco” della mia vita. Mi hanno già rimandato indietro una volta, ma ci proverò ancora fino a settembre quando arriva il freddo» afferma Hassan, un tunisino che parla bene l’italiano. Assieme a decine di migranti è seduto a terra nel parcheggio di una farmacia di Velika Kladus˘a. Il titolare, Irfan Talakic, ogni tanto esce protestando per farli sloggiare: «Abbiamo perso il 30 per cento dei clienti. Le telecamere di sorveglianza li hanno filmati mentre rubavano in un negozio vicino alla farmacia. Sono stato profugo a Belgrado durante la guerra, ma questa gente non scappa da un conflitto».
Mohammed è un pachistano che arriva da Peshawar e sta facendo la fila all’ufficio postale: deve ritirare i soldi necessari per il «gioco», che gli ha inviato la famiglia via Western Union. «In 14 mesi ho provato 17 volte a passare arrivando fino in Slovenia. Stanotte ce la farò» è convinto Mohammed.
Una famiglia afghana con tre bambini è stata appena rimandata indietro dai croati e vive in una catapecchia. «Allestivo le basi degli americani» racconta Mohammed Nabibullah, il capo famiglia. «I talebani hanno minacciato di tagliarmi la gola come a un kufar (“infedele”, ndr). Sono stato costretto a scappare. Mia moglie con gli altri bambini sono già in Germania. Devo raggiungerli».
Gli scontri etnici fra migranti sul confine - per chi passa per primo e dove - sono all’ordine del giorno. Afghani e pachistani si coalizzano contro i maghrebini e la tensione con la popolazione è forte. «La gente è esasperata» spiega l’ispettore Siljdedic «Per questo le autorità hanno deciso di allestire un campo provvisorio fuori città». Vuciak significa «tana del lupo» e la tendopoli per 500 migranti si trova nel mezzo del nulla, ma a un passo dal confine croato. La polizia teme che il 5-10 per cento dei migranti sia composto da criminali in fuga dal loro Paese e non esclude infiltrazioni jihadiste di combattenti dell’Isis che cercano di tornare in Europa. Quasi tutti puntano alla protezione umanitaria in Italia, non in Bosnia. «Da dicembre abbiamo registrato 2.500 migranti. Solo quattro hanno iniziato la procedura d’asilo» ammette una volontaria in uno dei cinque campi di accoglienza del cantone di Bihac. Dalla tendopoli di Vucjak parte a piedi nella boscaglia un gruppo di giovani con gli occhi dal taglio leggermente a mandorla. Tutti nepalesi, senza diritto all’asilo, arrivati in Turchia in aereo per l’avventura della rotta balcanica. Un giovanotto, che indossa la maglietta bianca con scritto in inglese «giro del mondo», dice candidamente: «Anche noi vogliamo andare in Italia».
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