Calcio
March 30 2022
A metà del prossimo mese di luglio, con gli italiani al mare o in montagna, il progetto del nuovo stadio di Milan e Inter compirà tre anni. L'età giusta per cominciare a parlare correttamente dopo aver mosso i primi passi e, se l'idea di costruire un impianto di nuova generazione fosse paragonabile alla vita di un bambino, ad essere pronti a confrontarsi con il mondo al di fuori della propria famiglia. Nel caso dello stadio, iniziare a mettersi in competizione con le strutture degli altri club in giro per l'Europa e il Mondo.
A Milano non è così e non è dato sapere quando lo stallo sarà superato. L'ultimo scambio di accuse e difese tra Beppe Sala e Milan-Inter non è stato altro che la conferma delle difficoltà che le due società milanesi, e le rispettive proprietà, hanno nel trovare un terreno di confronto paritario e costruttivo con quel reticolo di veti incrociati, interessi palesi e nascosti e lungaggini burocratiche che risponde al nome di politica locale. In questa situazione specifica, Palazzo Marino e le stanze del Comune di Milano rischiano di trasformarsi in un porto delle nebbie dove col passare di giorni, settimane e mesi si perde di vista il quadro complessivo dell'operazione.
Milan e Inter hanno fatto sapere a mezzo stampa di essere pronte a mollare l'area di San Siro per andare altrove: Sesto San Giovanni con la distesa dell'ex area Falck è la soluzione a portata di mano per trasferire progetto e investimenti. Il sindaco della capitale economica del Paese, una volta modello d'efficienza anche burocratica, ha risposto a stretto giro di... messaggio social per accusare i club di fare il doppio gioco; nella sostanza garantire per iscritto a lui la prosecuzione del confronto secondo le tappe istituzionali e, nello stesso tempo, lavorare a un piano alternativo. Milan e Inter hanno chiosato ricordando di considerare l'area di San Siro sempre la prima opzione, ma di non essere più disponibili ad aspettare senza certezze dei tempi.
Apparentemente un dialogo tra sordi in cui a sorprendere è stata l'affermazione di Sala che in questo momento storico al Comune "hanno anche altro a cui pensare". Ineccepibile, se non fosse che il progetto di Elliott e Suning, con il suo 1,2 miliardi di euro di investimenti già passati al vaglio degli uffici comunali fino all'accordo per l'abbattimento delle volumetrie e la sopravvivenza di una parte del vecchio San Siro a perenne ricordo, non può essere messo in competizione con la crisi ucraina e i suoi riflessi su Milano, i problemi delle famiglie e tutto il resto di cui si occupa un'amministrazione. Semplicemente, alla soglia dei tre anni di vita, le cose devono marciare in parallelo se esiste la volontà politica di farle andare avanti.
Il punto, però, è proprio quello. Cosa pensa il sindaco Sala al di là dell'atto formale della dichiarazione di interesse pubblico arrivata subito dopo la sua rielezione? Il suo entusiasmo verso le idee di Milan e Inter sembra essersi affievolito col passare dei mesi e la posizione secondo cui ora devono vedersela i due club con i comitati che si oppongono - un manipolo di cittadini in puro stile NIMBY - assomiglia alla capitolazione del ruolo e della funzione di un amministratore messo lì dai cittadini proprio per fare sintesi. Oppure fa venire il sospetto che, anche nei dintorni della maggioranza che governa Milano, ci siano spinte perché il dossier non passi o finisca in qualche modo con una soluzione di compromesso tra pubblico e privato.
Il dibattito pubblico, passaggio a quanto sembra ineludibile, si è trasformato in una palude. Gli oppositori pretendono che le due società investano decine di milioni di euro in un progetto definitivo ed esecutivo da far poi emendare dalla politica. Elliott e Suning non ci pensano nemmeno e preparano un dossier con le carte già in mano, quelle frutto della lunga trattativa con il Comune. La realtà è che hanno capito di essere al bivio: da una parte un binario morto, stile Tor di Valle per il (fu) Pallotta, dall'altra una spallata poderosa per evitare che il bimbo arrivi all'età delle elementari ancora trattato come un neonato. Tradotto: la scadenza del 2026 è andata, ma se venisse meno anche la sola prospettiva di poter debuttare nella nuova casa dopo i Giochi allora un po' tutto andrebbe rivisto. Con buona pace di Sala e dei suoi equilibrismi.