Calcio
April 30 2024
Il passo indietro del Milan rispetto alla scelta di Julen Lopetegui come successore di Stefano Pioli sulla panchina rossonera è clamoroso ma non inedito. Non è la prima volta nella storia del calcio che le pressioni dei tifosi, spesso guidati da logiche non del tutto razionali, convincono società e proprietà a cambiare strada. Allenatori, giocatori e anche decisioni politiche cruciali prese e cancellate nel giro di poche ore. Nell'aprile 2021, ad esempio, soffocò così la nascente Superlega travolta dalla protesta di alcuni gruppi di supporter dei club della Premier League che avevano aderito.
Qualche volta va bene, talvolta male. Esempi? Col senno del poi non fu un danno per Inter e Juventus non scambiarsi Guarin e Vucinic (gennaio 2014), affare ormai definito e saltato via sms dell'allora presidente nerazzurro Thohir spaventato dalla contestazione degli ultras sotto la sede. Lui che si trovava a migliaia di chilometri di distanza.
Nella maggior parte dei casi, però, hanno avuto ragione i dirigenti che hanno tenuto duro anche nei confronti delle pressioni esterne. Moggi portò Ancelotti sulla panchina della Juventus nonostante l'avversione ambientale ("Un maiale non può allenare" lo striscione d'accoglienza), Marotta si prese Allegri dopo la fuga di Conte nonostante insulti e manate alla macchina che entrava a Vinovo con a bordo il prescelto, Inzaghi ha voluto Acerbi a tutti i costi superando il 'niet' degli interisti solo per citarne alcuni.
I club, insomma, hanno quasi sempre esercitato il diritto di scelta a prescindere, correndo anche il rischio dell'impopolarità per difendere le proprie posizioni. Su Lopetegui il Milan sta prendendo una strada differente. Gerry Cardinale non è rimasto insensibile alla rivolta prima social e poi reale di chi ha visto nell'ex tecnico di Siviglia, Real Madrid e nazionale spagnola un profilo troppo debole per una squadra che deve crescere in fretta per non subire dall'avversario cittadino che è nel mezzo di un ciclo di vittorie.
Tutti vogliono Antonio Conte e qui sta il paradosso, anche rischioso, della vicenda. Perché Conte non rientra comunque nei piani del Milan, nemmeno dopo il no a Lopetegui che nelle campagne social era stato frettolosamente ribattezzato NoPetegui. Se il casting sarà riaperto, conterrà profili comunque in linea con la strategia complessiva di proprietà e società: crescita graduale, nessun passo oltre la lunghezza della gamba sul mercato, giovani da valorizzare e posizionamento competitivo ma non necessariamente subito vincente.
Una linea dalla quale Cardinale non sembra disposto ad allontanarsi a prescindere dal nome del tecnico. In gioco c'è l'organizzazione stessa della società, gli equilibri all'interno della dirigenza e i business plan di medio e lungo periodo. La conclusione è che su Lopetegui si è combattuta una battaglia che ha personalizzato una questione di principio. I tifosi l'hanno vinta e magari avranno anche fatto un favore a se stessi e al Milan del futuro, ma difficilmente si imporranno nella guerra su cosa deve essere in fretta la squadra che nel 2022 ha vinto lo scudetto ma che non sembra ossessionata dall'idea di ripetersi in breve tempo. No a Lopetegui, chissà quale sarà la risposta su "i Lopetegui". Anche perché la storia insegna che le proprietà forti e con le idee chiare non si fanno dettare l'agenda dalle curve e il Milan di oggi aspira ad esserlo.