Milano Design Week: il funerale del design ad opera degli influencer

Siamo quasi alla fine della Milano Design Week, quella che un tempo era un baluardo di buon gusto, idee, creatività reale, fatta di artigiani, artisti del design, produttori e lavoratori, che per sette giorni tra fiera e Fuorisalone mettevano in bella mostra annate creative ad ispirazione del buon vivere tra le pareti di casa. Quella settimana in cui una stanza su airbnb che normalmente si pagava 100 euro a notte schizzava anche a 500. Quella settimana in cui la moda era al massimo indossata (ma poco e senza grandi ostentazioni) e che ora comanda, potentona, anche ai tavoli dai quali era relagata al solo scopo per cui dovrebbe essere nata: vestire.

Milano non ce la fa. Deve rifilare gli influencer dappertutto. E, come era da aspettarsi, studiati i meccanismi, corrotti gli uffici stampa piacioni, ribattezzando “collaborazione” quello che non è altro che alta scrocconeria che non fa fatturare nessuno se non gli influencer stessi, eccoli che in ogni anfratto della città si insinuano con le loro parole chiave a dizionario ad alto tasso di instragrammabilità “Ma la meraviglia?”.

“Al prossimo che mi chiede di un altro bicchiere di Prosecco, giuro gli ci faccio un gavettone”- racconta un direttore di showroom memore del tempo che fu in cui nei suoi interni si affacciavano giornalisti, architetti, impresari e che oggi deve convivere con angoli di vetrina diventati set acchiappalike dove una persona su tre entra per farsi una foto e di ipotizzare anche nel mondo dei sogni un preventivo non lo immagina nemmeno.

Siamo al penultimo giorno, e se il sentore preventivo pareva confermarsi alle prime battute già domenica scorsa, con la buona fede abbiamo voluto dare una chance a quello che era un grande evento per tornare a casa con le ossa fracassate: prepariamoci a dire addio salvo fatta qualche eccezione, anche a questo.

I poterini forti dei social che lunedì saranno affaccendati nella restituzione degli abiti imprestati agli uffici stampa hanno ancora 24 ore di tempo per finire il giro degli allocchi che in cambio di contenuti interessanti sperano di portarsi a casa contenuti interessati. Traduzione: se prima bastavano gli inviti a i ristoranti e alle sfilate ora la gara è a chi si fa fare la casa più gratis. E nell’Olimpo dei furboni, lo step successivo è la capsule collection: quella che non si compra nessuno ma che fotografano tutti. Ed ecco come si distrugge un sistema: un altro.

Ed è qui che ci si chiede se sia nato l’uovo o la gallina, dove per uovo si intende quella promessa di fatturato che il content creator ipotizza e per gallina il brand che ci casca. Il concorso di colpa è sigillato dai like di chi pensa davvero che il mondo giri così. E che nel frattempo dorme sul divano letto di Aiazzone, preso in 2857367 comode rate ancora con la nonna in vita. Roba da rimpiangere, se ci si pensa bene.

Isola felice, meno design d’assalto e più gusto di vivere e circondarsi di cose belle in case belle è nel concentrato delle Cinque Vie, che più che salone del mobile ribattezzerei salotto del nobile. Lì dove la Milano bene è ancora Milano bene e dove le signore prima ancora che esporci, ci abitano, merita una visita Idarica Gazzoni, che ha ospitato oltre alle sue collezioni di carte da parati e tessuti artigianali, anche i folded book di Crizu, con la bravissima Cristina Corradi, una che non ne sbaglia una. Ma anche i piatti del laboratorio Paravicini, belli, bellissimi ed eleganti.

Idarica Gazzoni

Nel resto della città di roba da mettersi in casa se ne vede ben poca. Da postare sui social fin troppa. Ma una via di uscita c’è, se non si perde di vista che il Fuori Salone è la costola pop della Fiera.

Paravicini

La voce fuori dal coro di Paolo Badesco, interior designer che prende le distanze dal carrozzone, dà una speranza che speriamo non sia accanimento terapeutico: “tutti vogliono salire sul salone del mobile e della design week. Oramai principessa indiscussa la moda, e quello che ne rimane di imbalzamato, che cerca di infilarsi in questo grande business visto che il loro è appassito, al tempo stesso le aziende si sono fatte affabulare dagli influencer di turno che ogni anno da aprile si sentono in dovere di raccontare le loro acrobazie, spesso assolutamente inutili e gratuite. Questa la tragica evoluzione di un mondo nel totale sbando che tra pochi giorni regalerà alle discariche pubbliche metri cubi di consumismo neanche troppo consumato”- spiega, amareggiato, ma offrendo un elemento di ricostruzione, tipico di chi il mestiere lo sa fare- “La fiera campionaria è tornata alla grande come manifestazione che ha ragion d’essere da cinquant’anni. Se si vuole vedere qualcosa vale la pena andare lì”.

Paolo Badesco

Come dire marketing sì, marchette, se possibile, no.

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