Lifestyle
February 21 2023
Soltanto fino a qualche anno fa, la corsia degli alcolici nei supermercati era considerata zona rossa. Un girone infernale, un «vorrei ma non posso». Il consumatore che si presentava in cassa con una bottiglia di gin, rum o vodka era passibile di giudizio. Si faceva presto a interpretare l’acquisto come una tacita dichiarazione di disagio esistenziale.
Preistoria. Il confine tra lecito e «proibito» è evaporato e gli scaffali delle bevande alcoliche si sono addirittura allargati in termini di offerta e viavai. È la mixology, bellezza.
«La pandemia ha funzionato da moltiplicatore. Ha accelerato ciò che sarebbe successo nel giro di una decina d’anni. L’aperitivo virtuale, surrogato di libertà, ha sdoganato dall’imbarazzo» ammette Luca Pirola, grande esperto sul tema, tra i fondatori di Bartender.it, web magazine dedicato alla mixology e al beverage. «Oggi si fa un gran parlare di bere miscelato come fenomeno sociale, trend di mercato. Ma occorre un po’ di chiarezza. L’Italia vanta una lunghissima tradizione in fatto di cocktail. Basti pensare che siamo uno dei Paesi con il maggior numero di distillerie, senza contare la storica produzione di liquori, creme, elisir. Ciò che è cambiato rispetto al passato sono la completezza dell’offerta, le tecniche estrattive dei profumi e di miscelazione» precisa Pirola.
«È cambiato il pubblico. Un tempo i «premium spirits» ruotavano tra le dita di chi se li poteva permettere, si degustavano soltanto nei grandi alberghi o in selezionatissimi locali. Ora i cocktail bar sono ovunque. I drink hanno prezzi accessibili, sono entrati anche nei menu dei ristoratori» prosegue.
La democratizzazione del bere miscelato, tuttavia, non deve far pensare che nel bicchiere possa finire la qualunque, anzi. Dietro al bancone ci sono professionisti, i mixologist, che non lasciano nulla al caso, dalla scelta del ghiaccio a quella del bicchiere più idoneo, passando per la temperatura di servizio. «I consumatori sono sempre più informati, non si accontentano» sostiene Pirola.
Ma che cosa chiedono? «I grandi classici, però fatti sempre meglio. Martini cocktail, Gin and tonic, Negroni» chiosa. Un’occasione per degustarli sarà la seconda edizione di Mixology Experience a Milano dal 7 al 9 maggio. Un evento strategico per gli operatori e il grande pubblico, in cui oltre alle novità viene promosso l’ingrediente più importante di tutti: il buon senso. Che si traduce in bere poco e bene.
Le esigenze legate al consumo dei drink sono cambiate e con loro il modo in cui i barman si affacciano alla loro professione. Gabriele Sirtori, una carriera decennale che lo ha portato in alcune delle più grandi capitali, lo sa bene.
«Il cliente è sempre più esigente, cerca un’esperienza a 360 gradi che vada oltre il “buon cocktail”» spiega. «Complice di questo cambiamento è l’influenza delle piattaforme social - Instagram, TikTok - che hanno portato a una ricerca estetica più attenta».
Se prima bastava che un cocktail fosse buono, oggi deve essere anche bello. «Ecco perché le arie sono tra i trend del momento, così come l’utilizzo di prodotti più ricercati» continua Sirtori. I barman - o mixologist - hanno da tempo abbandonato l’utilizzo del succo di frutta, ad esempio, a favore di centrifughe preparate al momento. «In generale, c’è più attenzione alla mescita del cocktail, a partire dall’utilizzo del ghiaccio più puro possibile».
Per spiegare la sua filosofia, Gabriele Sirtori (che attualmente sta lavorando all’apertura di un nuovo locale nel centro di Milano prevista per giugno) ci ha descritto alcune delle sue creazioni, da un old-fashion rivisitato arricchito da un’affumicatura che lascia un profumo morbido, da servire con un sigaro, a un’infusione di vodka e tè nero, con bergamotto e sciroppo al cardamomo, tutto home made. «È come una rivisitazione dell’Estathé al Limone, quel sapore che fa tornare bambini. Mi ispiro molto alla mia infanzia per creare i miei cocktail. Questo senso di delicata nostalgia ha molta risonanza con i clienti».
A proposito di clienti, come si è evoluto il rapporto tra barman e avventore? Secondo Sirtori, che non si paragona a uno chef ma dice di condividere con quest’ultimo una particolare vocazione al cliente, la figura del mixologist è molto diversa da quella del classico barman. «È diventato più difficile stringere un rapporto con chi si siede davanti al bancone, ma ci sono ancora persone come me che apprezzano il legame di fiducia che si crea con il cliente».
Il barman oggi racconta una storia con il suo cocktail e cerca di creare un contatto, dando vita a un prodotto che si avvicini sempre più al gusto del cliente. «La drink list per il mio nuovo locale sarà fatta di immagini per due motivi: uno, più tecnico, è che molti degli ingredienti sono così ricercati che richiedono una spiegazione più facile e immediata; in secondo luogo perché voglio creare una vera e propria esperienza e un coinvolgimento».
Alla domanda sulla fiera che si terrà il prossimo maggio a Milano, Sirtori si dice entusiasta. «Spero che questo evento aiuti a diffondere la cultura della mixology. Se solo fosse stato organizzato 10 anni fa, il 90% dei partecipanti sarebbero stati addetti al settore, ma le cose stanno cambiando».