Lifestyle
June 12 2015
Dai camminamenti della Galleria Vittorio Emanuele c’è una vista straordinaria sui tetti di Milano. Si sfiora il Duomo con un dito, i rumori della piazza sono un brusio ovattato in sottofondo e in lontananza svettano i grattacieli di Porta Nuova. Un piano sotto, al quarto, trova spazio in uno degli edifici simbolici della città il Pavarotti Restaurant Museum, nato dalla collaborazione tra Pavarotti International 23 e Seven Stars Galleria, aperto fino alla fine di ottobre (ma già trapela l’intenzione di renderlo permanente). Un ristorante temporaneo a prezzi pop, ideato in occasione di Expo 2015 per celebrare il mito di Luciano Pavarotti – che a otto anni dalla scomparsa resta una delle icone italiane nel mondo – e la cucina emiliana. Nel giorno dell’inaugurazione, Panorama.it ha incontrato Nicoletta Mantovani.
Nicoletta, com’è nata l’idea di un ristorante museo temporaneo dedicato a Luciano Pavarotti?
Le ragioni sono diverse. Luciano è ancora oggi uno dei simboli dell’Italia nel mondo – in Cina, ad esempio, è amatissimo – e non potevamo non essere a Milano nel periodo di Expo. È un modo per ricordare Luciano, portando qui alcuni pezzi della Casa Museo Pavarotti, e per parlare di Modena e dei suoi prodotti. Non a caso la collaborazione con la Regione Emilia e il Comune di Modena è fortissima e tutti i prodotti arriveranno da lì.
Oltre alla musica, il cibo era una delle grandi passioni del Maestro.
Amava apprezzare la vita in tutti i suoi aspetti e la tavola era un momento irrinunciabile di grande condivisione: per questo casa nostra era sempre aperta ad amici e colleghi. Il cibo era una grande passione e non tutti sanno che era anche un discreto cuoco.
I suoi piatti preferiti?
Beh, quelli della sua terra. Amava i tortellini, le tagliatelle al ragù e i tortelloni. Che poi sono i piatti che abbiamo voluto proporre nel menù del ristorante.
A prezzi ultra pop, tra l’altro.
Come Luciano ha portato la lirica a tutti, abbiamo voluto traslare lo stesso concetto con la tavola. Per questo ci sarà un menù a 15 euro che comprende un antipasto, un primo e un bicchiere di vino. Poi ci sono altre proposte per target diversi, ma a prezzi sempre accessibili per dare la possibilità a tutti di venire qui.
In ogni sala sono esposti dei veri e propri cimeli pavarottiani, dal celebre smoking nero con papillon bianco agli stravaganti foulard fino alle foto di scena nei teatri più importanti del mondo.
Ci sono dei piccoli assaggi della Casa-Museo Pavarotti di Modena mentre le atmosfere ricordano quelle del ristorante Europa 92, sempre a Modena, che Luciano aveva aperto molti anni fa. Lui era fiero delle sue origini contadine e per questi abbiamo cercato di interpretare i suoi desideri, creando un ambiente accogliente ma senza esagerazioni, come avrebbe amato lui.
Voltiamo pagina. Piccola curiosità: frequenti ancora l’opera?
L’opera la frequento ancora con la Fondazione Pavarotti, attraverso la quale portiamo avanti il sogno di Luciano, che era quello di aiutare i giovani, organizzando audizioni e concerti in giro per il mondo, attraverso il maestro Paolo Andreoli. Quest’attività ci sta dando grandi soddisfazioni importarti perché molti dei nostri giovani sono seguiti da agenti seri e stanno facendo carriera nei teatri più importanti. Quando si esibiscono, vado a sostenerli.
Del resto il Maestro Pavarotti ha sempre amato insegnare ai giovani.
Lui credeva nei giovani, cercava di dare a ognuno di loro qualcosa di sé e non ha mai smesso di insegnare, persino nelle ultime settimane di vita. Uno degli ultimissimi cui ha dato lezione è stato il tenore Vittorio Grigolo: lo ha preparato, per il debutto in Bohème, nel mese di luglio (Pavarotti è scomparso nel settembre del 2007, ndr) e fu un grande trionfo. Tra l’altro c’è un episodio speciale che li lega. Vittorio fece il pastorello in Tosca, quando aveva 12 anni, e Luciano interpretava Cavaradossi. “Tu diventerai uno grande”, gli disse. Aveva ragione. Considero la carriera di Vittorio l’ultimo grande tocco di Luciano.
C’erano altri giovani cui era particolarmente affezionato?
Aveva un legame forte con Andrea Bocelli, che ha seguito all’inizio, e poi con Juan Diego Flórez che era uno dei tenori che apprezzava di più: con lui parlava dei famosi nove do di petto del Fille du Regiment di Donizetti e di come affrontarli.
La tua opera preferita?
Ce ne sono diverse, ma più di tutte Bohème. Forse perché produssi Rent, la versione rock di Bohème, una rivisitazione interessante su cui il temibile critico Tommasini al Metropolitan Opera tenne una bellissima conferenza. Luciano fece le audizioni ai cantanti e anche in quell’occasione dimostrò il suo grande fiuto visto che molti di quei giovani hanno poi fatto carriera nel mondo musical. Io non ho il tocco da talent scout: l’unica cosa che colgo è il cuore che ci mettono. Prendo sempre i cantanti che lo fanno per la voglia di farlo e non per diventare famosi.
Sbaglio o c’è una nota polemica?
Nessuna polemica, ma una constatazione dei fatti. Luciano non ha mai cantato per diventare famoso o per avere successo. Oggi invece tutto è puntato su quello: il messaggio che diamo ai giovani è “devi arrivare”. Lui l’ha sempre fatto per migliorare se stesso, continuando a studiare fino alla fine perché, diceva, “domani dovrò essere migliore di oggi”. Amava così tanto l’opera che voleva esserne all’altezza. Come il fatto di mischiare opera e pop, lui lo fece con grande orgoglio per divulgare la lirica: oggi sembra quasi un mezzo per raggiungere gli altri e diventare famosi.
A proposito di questo, riproporre oggi una rivisitazione del Pavarotti and friends avrebbe un senso?
(ride) Sarebbe impossibile perché Luciano era il vero collante. Era lui che riusciva ad avere tutti gli artisti importanti, perché tutti si volevano confrontare con lui. Mi ricordo le facce stupite di grandissimi artisti del pop che restavano a bocca aperta quando lui cantava: era l’essenza della voce. Ho visto che negli ultimi anni si sono fatti diversi esperimenti, come l’ultimo show in Arena: lì invece era un progetto benefico, c’era la cura di un anno, lui decideva cosa fare. Il bello dello show era che alcune cose ti lasciavano senza fiato, altre lasciavano senza fiato per la bruttezza: ma ne eravamo consci, erano esperimenti e faceva parte del gioco. Miss Sarajevo però è una delle cose più belle e riuscite.
A tua figlia Alice piace l’opera?
Frequenta una scuola che l’ha fatta avvicinare al mondo dell’opera e suona il piano. Le piace spaziare, è una grande fan di Marco Mengoni ad esempio. Le piace la lirica e da Luciano ha preso un orecchio importante: quando lui dava lezione, spesso stava seduta sulle sue ginocchia e se uno cantava male lei andava via dalla stanza. Se scappava alla terza volta, non era un caso (dice riendo). Ancora adesso, a differenza mia, coglie le stonature.
E del risto-museo dedicato a suo Papà che dice?
È un’idea che le piace molto e presto la porterò qui.
A proposito, Luciano cos’avrebbe ordinato?
Non ho dubbi, tagliatelle al ragù.